N.2 2023 - Scientia | Dicembre 2023

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L’artigiano e il rivoluzionario verso una teoria delle particelle elementari: influenze culturali, divergenze e rincontri

Rocco Gaudenzi

Università di Verona Department 1, Max Planck Institute for the History of Science rocco.gaudenzi@univr.it

Abstract

Nel loro cammino verso una teoria delle particelle elementari, Sin-Itiro Tomonaga, abile e pragmatico artigiano della matematica e ‘conservatore non reazionario’ - come Shoichi Sakata ebbe a definirlo affettuosamente - e il suo amico e compagno di studi Hideki Yukawa, rivoluzionario e audace ‘designer’ - prendendo a prestito la definizione di Yoichiro Nambu - si sono posti in una feconda tensione dialettica. Attraverso di essa, questi due protagonisti della fisica teorica dell’ultimo secolo si sono vicendevolmente plasmati, arricchiti e completati, arrivando da ultimo a una risonanza di punti di vista. In questo contributo ripercorreremo le due avventure intellettuali e illustreremo come, in modi diversi, abbiano attinto alla tradizione del pensiero giapponese.

English abstract

On their way towards a theory of elementary particles, Sin-Itiro Tomonaga, a skilled mathematical craftsman and ‘non-reactionary conservative’- as Shoichi Sakata affectionately defined him - and his friend and fellow student Hideki Yukawa, audacious and revolutionary ‘designer’- to borrow Yoichiro Nambu’s word - found themselves in a fruitful dialectical opposition. Through such an opposition, these two protagonists of the physics of the last century shaped and completed each other, eventually coming to a resonance of points of view. In this article, we will trace the two adventures of thought and will examine how they imported elements from the Japanese thought into their research programs.

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Introduzione

Sin-Itiro Tomonaga e Hideki Yukawa sono state le due maggiori anime della fisica moderna giapponese della loro generazione. Nati a Tokyo rispettivamente nel 1906 e nel 1907, compagni di studi all’Università Imperiale di Kyoto e successivamente rinomati internazionalmente per i loro rispettivi lavori sulla rinormalizzazione dell’elettrodinamica quantistica e la teoria delle interazioni nucleari - per i quali ricevettero il Premio Nobel nel 1965 e nel 1949 - , queste due figure con caratteri e filosofie diverse formarono le due principali ‘scuole’ di fisica teorica moderna in Giappone. Essi hanno plasmato la grande maggioranza di quelli tra i giovani fisici (nati negli anni ’20) che si sono avventurati - o forse dovremmo dire, nel Giappone relativamente conservatore di quegli anni, osavano avventurarsi - nella fisica nucleare e delle particelle [Gaudenzi, 2022]. In questo articolo, tracceremo i profili scientifico-biografici di questi due fisici, i loro stili di pensiero e di approccio ai problemi che affliggevano la teoria quantistica dei campi negli anni ’30 e ’40, sottolineandone i contrasti e i punti di contatto. Nella sezione finale discuteremo come e dove approccio e stile sono stati, implicitamente o esplicitamente, influenzati dalla tradizione di pensiero giapponese. La nostra metodologia di elezione è quella dell’epistemologia storica, con l’attenzione tematica rivolta alle strategie euristiche e alle risorse concettuali mobilitate nella ricerca di una teoria delle particelle elementari (e delle interazioni forti, in particolare). Parte di tali risorse sono radicate, in misura maggiore per Yukawa e minore per Tomonaga, nella tradizione di pensiero giapponese, e uno dei nostri compiti sarà di dare un’impressione di questa affascinante interazione concettuale. Ciò che ci motiva a farlo è il fascino per i modi in cui un dato retroterra culturale (non occidentale, in questo caso), e il ‘Denkstil’ e l’ambiente culturale da esso influenzati, partecipano del pensiero scientifico, della trasformazione dei concetti esistenti e della formazione di nuovi concetti. Così inquadrato, questo lavoro si propone come un’analisi storico-epistemologica di due traiettorie scientifiche individuali che siano però rappresentative della più generale interazione tra pensiero scientifico e tradizioni culturali in contesti diversi da quello occidentale. Prima di addentrarci e per evitare malintesi, occorre qui specificare che la scabrosa categoria di ‘occidentale’ è una cosiddetta ‘categoria degli attori’ (‘actors’ category’) e l’uso piuttosto generico che ne facciamo, con la dovuta cautela e consapevolezza, volutamente ricalca il punto di vista di Tomonaga, e più ancora di Yukawa, come anche di molti di quelli che in quegli anni si interrogavano sulla posizione del Giappone rispetto all’Europa. Un esempio di tale utilizzo ci viene fornito dal seguente passo che Yukawa pronuncia in un intervento sull’intuizione e l’astrazione nel pensiero scientifico, tenuto ad Atene nel 1962 [Yukawa, 1962]:

Sono nato, cresciuto e stato educato in un paese talmente distante dal mondo occidentale che l’influenza della filosofia, della scienza e dell’arte greca si fa sentire solo da circa cent’anni a questa parte, quando i nostri antenati hanno iniziato con totale abnegazione l’impresa di apprendimento della scienza e della tecnologia dal mondo occidentale. Questa impresa ha avuto un effetto impetuoso sugli intellettuali del nostro paese, tale che molti di quelli della mia generazione si ritrovano oggi perlopiù separati da quella tradizione orientale classica che i nostri antenati avevano ereditato dalle generazioni precedenti.

Yukawa prosegue poi rivendicando il suo legame diretto con quella tradizione orientale, e la domanda di natura metaculturale che lo assale:

Nonostante la situazione e contro la moda del tempo, quando avevo solo cinque anni, mio nonno e mio padre cominciarono ad insegnarmi i classici cinesi tramandati dai discepoli di Confucio. All’età di tredici o quattordici anni, scoprii gli scritti taoisti di Lao-Tzu e Chuang-Tzu nella biblioteca di mio padre e rimasi profondamente impressionato dalla loro filosofia della natura e della vita, che è pressappoco contemporanea a quella dell’antica Grecia. Con questo bagaglio culturale sono entrato nel mondo della scienza moderna, fondato sul retaggio degli antichi greci. Da quel momento una domanda di tanto in tanto ha preso ad assalirmi e lo fa ancora oggi. La domanda è: perché la scienza ha raggiunto il suo stato attuale come risultato della sua fondazione nella Grecia piuttosto che altrove? Non riesco a non pormi questa domanda in particolare perché le filosofie di Lao-Tzu e Chuang-Tzu sulla natura e la vita non solo sono molto profonde, ma anche razionali e umane.

Con il proposito di ritornare a tali questioni nella parte conclusiva, tracciamo ora le traiettorie intellettuali dei due fisici ponendo l’attenzione sia sugli snodi che sono stati determinati dalle risonanze, le divergenze e gli effetti di reciproca influenza sia sui legami che i due fisici hanno intrattenuto con la tradizione e il contesto culturale del tempo.

Yukawa e Tomonaga: interazioni e contrapposizioni feconde

Ouverture

Se dovessimo trovare un punto di svolta simbolico nell’avventura di pensiero che ci accingiamo a raccontare, potremmo individuarlo nel ciclo di conferenze tenute a Kyoto e Tokyo da due allora giovani Paul Dirac e Werner Heisenberg e promosse da Yoshio Nishina [Konagaya, 2020]. L’anno è il 1929, Nishina è appena tornato in Giappone da un periodo di otto anni trascorsi visitando università e laboratori europei e intrattenendo una duratura collaborazione con Niels Bohr e colleghi a Copenaghen [Ito, 2002] [Kim, 2007]. L’idea alla base del ciclo di lezioni è quella di introdurre i giovani studenti giapponesi ai principi della ‘nuova’ meccanica quantistica e ad alcune sue applicazioni per bocca di due dei suoi maggiori fautori. Anche se non è certamente il primo contatto tra fisici europei e giapponesi, e ancor meno l’inizio di un più sistematico scambio culturale tra Europa e Giappone - che si fa solitamente risalire al principio dell’era Meiji, intorno al 1869, come suggerito anche nel passo di Yukawa sopra riportato - questo evento riveste un’importanza materiale e simbolica, sia in generale che in relazione alla nostra storia. Se vogliamo, segna l’introduzione più ampia e quasi ‘istituzionale’ dell’allora recentissima nuova meccanica quantistica in Giappone. È l’esposizione dell’avanguardia della comprensione teorica del mondo atomico, dei suoi successi, delle questioni e dei problemi aperti. Per quanto queste ultime non siano del tutto sconosciute e in qualche misura già affrontate da alcuni fisici giapponesi, la nuova meccanica quantistica non è ancora formalmente insegnata ed è coltivata solo da quei pochi che, come Nishina, hanno imparato una delle lingue europee (tedesco, inglese o francese), appreso da, e collaborato direttamente con, i protagonisti. All’epoca non ci sono d’altronde ancora libri di testo in giapponese su quegli argomenti, e tantomeno un vocabolario per parlarne, come anche pochissime persone che si sarebbero sentite di insegnarli in un contesto accademico dove la fisica classica domina molto più di quanto lo faccia in Europa [Darrigol, 1998] [Kim, 2007] [Ashrafi, 2004]. L’avventurarsi in quel territorio straniero, per riprendere un’espressione di Yukawa, è perciò lasciato all'iniziativa personale di un pugno di ambiziosi e all'apprendimento autodidatta [Nakane, 2019] [Nambu, 1991] [Kinoshita, 1991].

In quel contesto, la presenza di Heisenberg e Dirac dà un notevole impulso agli sforzi di ‘traduzione’ linguistica e concettuale della fisica moderna in Giappone, e coincide con l’inizio di una più ampia partecipazione dei fisici giapponesi a una disciplina fino ad allora prerogativa quasi esclusiva del mondo occidentale. Due di questi futuri partecipanti sono in procinto di iniziare la loro avventura accademica nella disciplina: tra il pubblico, curiosi e perplessi in egual misura, siedono Tomonaga e Yukawa appena laureati, e il ruolo che quelle lezioni hanno avuto nello spingerli ad affrontare i problemi di frontiera della fisica del tempo non è secondario [Brown, 1991b]. Negli anni che seguirono i due percorsi si intrecceranno e manifesteranno interessi e motivazioni risonanti, rivelando al contempo punti focali e approcci ai problemi sostanzialmente diversi. Partiamo dal percorso di Yukawa.

Breve ritratto di Hideki Yukawa

Divoratore di libri di ogni genere, abile in matematica fin dai primi anni di scuola e particolarmente appassionato di geometria fin dalle scuole medie, il giovane Hideki riceve dal nonno paterno, insieme agli altri sei fratelli, un’istruzione nei classici cinesi [Tanikawa, 1979]. Per lo più legati al confucianesimo e considerati uno standard nell’educazione dell’epoca pre-Meiji, questi classici erano rapidamente scomparsi dai programmi di studio ufficiali. Non era stato così per Owaga padre e figli, i quali, sotto la guida del nonno, studioso di Confucio, a casa avevano continuato a ricevere quella educazione. Se il pensiero confuciano aveva occupato la prima infanzia di Yukawa, egli avrebbe successivamente opposto allo spirito conservatore di quegli scritti una lettura attenta di Lao-Tzu e Chuang-Tzu, maestri della tradizione cinese in antitesi al confucianesimo. Con la sua enfasi sul pensare e agire al di fuori delle norme sociali e degli schemi predeterminati, Chuang-Tzu in particolare, giocherà un ruolo importante nel pensiero di Yukawa, nella sua visione della natura e dell’universo, influenzando così il suo teorizzare in fisica. Un piccolo incidente riportato in varie fonti, tra cui Tanikawa, 1979, dimostra come il libero pensare fosse un elemento al quale Yukawa non era pronto a rinunciare. Il suo maestro di matematica del liceo, in cui era entrato nel 1923, era solito non accettare soluzioni o dimostrazioni alternative proposte dagli allievi, e così aveva fatto una volta con il giovane Hideki. Questo lieve dissidio sembra aver avuto un ruolo nel dirottare il giovane Yukawa verso la fisica a dispetto della matematica che, a seguito di quelle esperienze, egli reputava sopprimere il libero pensare e prediligere conservativamente i metodi e gli schemi che già esistevano.

In quel periodo, i testi del filosofo Hajime Tanabe e del fisico Jun Ishihara rispettivamente su temi di filosofia della scienza e sulla relatività einsteiniana destano il vivo interesse di Hideki [Tanikawa, 1979]. Tanabe affrontava, tra le altre cose, questioni fondazionali della meccanica quantistica e Ishihara, fisico in pensione ed esperto di relatività, soprattutto questioni fondazionali legate a quest’ultima. Come riportato da Tanikawa 1979, differentemente dalla teoria della relatività, la meccanica quantistica esposta da Tanabe ingenerava in Yukawa un piacevole spaesamento e una pressoché totale incomprensione che lo attrasse al punto che, capitatogli sottomano il volume di Max Planck Introduzione alla fisica teorica, volle testare la sua conoscenza del tedesco su quel testo. L’argomentare razionale e cristallino di Planck, e la relativa agilità con la quale Yukawa apparentemente ne comprendeva i contenuti, lo colpì e determinò, almeno in parte, la sua decisione di applicare per l’ammissione al corso di studi in fisica teorica all’Università di Kyoto. Questo avveniva nel 1925, anno nel quale la meccanica quantistica affrontava il sommovimento cui sarebbe presto seguita una solidificazione intorno ai principi e il quadro teorico tracciato da Werner Heisenberg, Max Born, Pascual Jordan e Paul Dirac. Con l’introduzione di questo nuovo quadro concettuale e matematico essi demarcano la cosiddetta ‘vecchia teoria quantistica’ (‘old quantum theory’), edificata, tra gli altri, da Planck e Bohr, dalla moderna meccanica dei quanti. L’anno successivo Yukawa entra all’Università di Kyoto, dove conosce quello che sarà il suo compagno di studi per gli anni a venire, Sin-Itiro Tomonaga. Entrambi sfruttano a modo loro la libertà quasi completa nella scelta dei corsi da seguire concessa nel corso di fisica di quell’università. Come abbiamo già detto, a quel tempo nessuna università giapponese offriva un corso sulla vecchia teoria quantistica [Darrigol, 1998] [Kim, 2007], e meno che meno sui suoi sviluppi recenti. Non è dunque attraverso la sistematicità di un corso che Yukawa e Tomonaga stabiliscono i primi contatti con quella visione nascente, ma tramite due canali più informali. Uno è una lettura pubblica di Hantaro Nagaoka sul presente, passato e futuro della fisica; l’altro è il testo di Max Born sui Problemi della dinamica atomica (Titolo originale: Probleme der Atomdynamik) appena pubblicato [Tanikawa, 1979]. Quest’ultimo conteneva l’approccio matriciale alla Quantenmechanik sviluppato a Gottingen dallo stesso Born, in collaborazione con Heisenberg e Pascual Jordan.

La reinterpretazione quantistica delle relazioni cinematiche e meccaniche - per riprendere il potente titolo del primo articolo di Heisenberg sull’argomento [Heisenberg, 1925] - insieme alla serie di articoli di Schrödinger sulla versione ondulatoria della meccanica quantistica del 1926 producono un’onda che l’anno successivo raggiunge anche il Giappone. Da divoratore di articoli e libri quale è Yukawa, egli segue, da studente del secondo anno di università, in differita e quanto più da vicino gli è possibile, questi sviluppi rivoluzionari dalla biblioteca del dipartimento di fisica. Nel flusso di articoli di difficile comprensione tecnica ed interpretativa, apparentemente sono quelli di Schrödinger che Yukawa comprende meglio e più intuitivamente [Tanikawa, 1979]. Sembra essere stata una certa preoccupazione che la rivoluzione teorica in atto nella comprensione del mondo atomico potesse rapidamente esaurire ciò che vi era da spiegare a spronare Yukawa e Tomonaga, entrambi parte del ‘laboratorio’ di fisica teorica di Kajuro Tamaki (specializzato in idrodinamica), nel loro terzo e ultimo anno di studio. Siamo in quel 1929 di cui abbiamo detto al principio, anno in cui ritroviamo i due fisici appena laureati tra l’audience del ciclo di lezioni di Heisenberg e Dirac. Possiamo ora facilmente immaginare la loro eccitazione nel vedere e sentire direttamente due loro quasi-coetanei illustrare, giorno dopo giorno, il principio di indeterminazione, una teoria che rendeva conto del ferromagnetismo, i sistemi quantistici a molti corpi, e la recentissima teoria relativistica dell’elettrone [Konagaya, 2020].

Come ricercatore non-retribuito nel laboratorio di Tamaki insieme a Tomonaga, dopo la laurea Yukawa si dedica principalmente a due compiti: un’elaborazione comprensiva della teoria quantistica relativistica - la futura teoria quantistica dei campi - e l’applicazione della meccanica quantistica al nucleo atomico, temi che saranno le due direttrici principe della speculazione di Yukawa e Tomonaga fino alla fine della loro carriera e i cui nessi vedremo qui svilupparsi e dipanarsi. Uno di questi nessi è costituito dal problema degli infiniti, che si presenta già nel 1929 con la prima proposta di teoria dei campi quantistici di Heisenberg e Wolfgang Pauli [Heisenberg - Pauli, 1929] [Blum - Joas, 2016]. Come conseguenza della natura quantistica e relativistica della teoria, le particelle reali creano e annichilano (emettono e assorbono) particelle virtuali, che formano il loro cosiddetto auto-campo. Non esistendo nella teoria un limite superiore all’energia/quantità di moto di tali particelle, l’auto-campo (o auto-energia) risultante è infinito.

I primi tentativi di Yukawa di trovare una soluzione a questo problema non hanno successo, ma esso rimarrà il problema centrale e chimerico nelle discussioni degli anni successivi e del lavoro futuro di Yukawa e Tomonaga. Yukawa avrà invece un successo piuttosto fulmineo nell’altra sua direzione di indagine: l’applicazione della meccanica quantistica al nucleo atomico. Legato all’apparente e misteriosa presenza dell’elettrone nel nucleo - che discendeva dalla scoperta del decadimento beta -, il problema naturale da affrontare nella fisica nucleare di quel periodo era quello delle forze che tengono insieme i protoni nel nucleo. Riprendendo in mano alcune speculazioni iniziate nel 1929, nel 1932 Yukawa aveva cominciato a contemplare l’ipotesi che l’elettrone fungesse da mediatore delle intense e ancora insondate forze nucleari. L’ipotesi appare nella sua prima relazione al Congresso della Società Giapponese Fisico-matematica del 1933 [Kawabe, 1991c] e in quelle tenute l’anno successivo, in una delle quali egli congettura la presenza all’interno del nucleo di un corrispondente bosonico dell’elettrone [Kawabe, 1991c]. In quello stesso anno, egli aveva intanto ottenuto la posizione di professore associato all’Università Imperiale di Osaka e formato il primo nucleo di fedeli collaboratori-discepoli, tra i quali Shoichi Sakata.

Il risultato dell’atteggiamento audace di Yukawa e della sua sete di contribuire al celere progresso della fisica teorica non tarda a prendere forma compiuta. Partendo da quella congettura e facendo un salto concettuale ulteriore, nel 1935 - forse meno condizionato dal principio di Occam dei suoi omologhi occidentali - Yukawa postula l’esistenza di una nuova particella come mediatore della forza nucleare, battezzata poi ‘mesone di Yukawa’, che presto lo renderà noto in tutto il mondo. L’ardita ipotesi alla base era che le forze nucleari fossero trasmesse dallo scambio di una particella dotata di massa: un analogo massivo, aveva ragionato Yukawa, del fotone che mediava la forza elettromagnetica. L’idea di invocare una tale particella poteva apparire agli occhi di molti una mossa ardita poiché aggiungeva ad hoc un’entità non osservata all’insieme delle particelle elementari - fino a quel momento, elettrone, protone, neutrone e fotone. Per tale ragione, l’ipotesi ebbe ben poco credito nella comunità scientifica fino a quando Carl Anderson e Seth Neddermeyer annunciarono la scoperta, nell’agosto 1936 e nel maggio 1937, di una nuova particella nei raggi cosmici che poteva corrispondere a quella ipotizzata da Queste scoperte però non misero un punto finale, come si potrebbe pensare, e lo status del mesone rimase piuttosto travagliato per tutta la decade successiva. Se infatti concettualmente la teoria dei mesoni divenne, a seguito di queste prime conferme, d’un tratto molto intrigante, col tempo emersero due discrepanze significative tra teoria ed esperimenti. Una prima discrepanza era quella tra il valore teorico e sperimentale della sezione d’urto tra mesone e nucleone (protone o neutrone): i mesoni osservati nei raggi cosmici - gli ‘acceleratori di particelle’ dell’epoca insieme a ciclotroni ed acceleratori alla Cockcroft-Walton - erano infatti molto più penetranti di quello avrebbero dovuto essere secondo la teoria. A questa discrepanza se ne aggiunse un’altra che emerse dalla revisione dei calcoli sulla vita media del mesone - eseguiti indipendentemente da Yukawa e collaboratori, nonché da teorici britannici nel 1940 - e che minava proprio il risultato che aveva motivato l’entusiasmo diffuso che era seguito alla scoperta del mesone nei raggi cosmici. Laddove la vita media del mesone calcolata allora corrispondeva in modo incoraggiante a quella stimata sperimentalmente, si rivelava una differenza significativa, di due ordini di grandezza, difficilmente riconducibile all’incertezza sperimentale. Tale discrepanza rendeva sostanzialmente ingiustificata l’identificazione della particella osservata nel 1936-37 con il mesone di Yukawa e svuotava l’ipotesi di parte della sua attrattiva [Tomonaga, 1955] [Brown, 1991b]. Queste incongruenze resisteranno fino al 1947, quando Fermi, Teller e Weisskopf reinterpretarono l'esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni del 1946; e Powell, Occhialini, Lattes e Muirhead scoprirono un nuovo tipo di particella di massa intermedia, denominata ‘mesone π’, che decadeva nella particella penetrante osservata nel 1937 (denominata poi ‘mesone µ’), e che fu identificata con il mesone di Yukawa. La decade che intercorre tra gli esperimenti di Carl Anderson e Seth Neddermeyer e questo chiarimento definitivo saranno battezzati da Yukawa, riprendendo ironicamente una frase dei Dialoghi di Confucio, come la sua decade ‘del dubbio’ (riferendosi al periodo dai suoi trenta ai suoi quarant’anni) [Kawabe, 1991b].

In concomitanza con la sua risposta sia al problema dello status del mesone che dell’altro problema cardine, quello delle divergenze, in Yukawa si va formando un peculiare stile di argomentazione ed esposizione scritta che risuona ed è coerente con il procedere congetturale ed audace del suo pensiero (e con il sottile piacere di «brancolare nel buio» [Kawabe, 1991c]), procedere che è già in nuce nell’elaborazione della teoria del mesone. Questo stile appare nel 1938 nel primo articolo, in forma di dialogo, di una serie che si conclude nel ’42 [Yukawa, 1938] [Yukawa, 1939] [Yukawa, 1979a] intitolata Sulle leggi fondamentali della teoria delle particelle elementari. Esso è particolarmente congeniale a sviscerare le difficoltà teoriche che stanno al centro di tutta la serie di articoli; ed è assimilabile ad un filosofare che, più che dare risposte, è teso ad individuare le domande salienti e formularle in maniera chiara. Nella scrittura emerge un approccio filosofico ai problemi fisici, che si serve della ripetizione e del ricorrere sui problemi per analizzarli e inquadrarli da varie angolazioni. In questi dialoghi non mancano accenti e stilemi ripresi dalla tradizione orientale. Nel dialogo del 1942 [Yukawa, 1979a], per esempio, Dirac e Heisenberg emergono come figure di riferimento, che «costantemente meditano profondamente» sui fondamenti e vengono trattati come se fossero dei saggi e veggenti orientali, le cui opinioni non dovrebbero «essere passibili di cambiamento». Heisenberg, in particolare, è descritto come un pensatore «che ha meditato a lungo su problemi come le fondazioni della meccanica quantistica» e di cui «vale [sempre] tenere in considerazione l’opinione». Come vedremo più avanti, le ispirazioni ‘filosofiche’ non riguardano esclusivamente lo stile di scrittura e argomentativo, ma anche i temi.

Breve ritratto di Sin-Itiro Tomonaga

Differentemente da Yukawa, il giovane Tomonaga è fin da piccolo piuttosto cagionevole e non molto sicuro di sé [Darrigol, 1998]; è discretamente brillante a scuola, ma non eccelle in ginnastica, calligrafia e inglese. L’educazione che riceve in famiglia è decisamente meno improntata alla tradizione e letteralmente più rivolta ad Occidente di quella di Yukawa. Sanjuro, il padre di Sin-Itiro, è infatti un noto studioso e professore di storia della filosofia occidentale all’Università Imperiale di Kyoto, dove risiede il principale esponente della cosiddetta Scuola di Kyoto (Kyoto-gakuha), il filosofo Kitaro Nishida, che vanta una profonda conoscenza ed elaborazione esegetica dei testi della filosofia occidentale. Sanjuro scrive, tra le altre cose, quella che è considerata la prima storia definitiva della filosofia occidentale in Giappone [Shibasaki, 2011] oltre che il primo dizionario/glossario della terminologia filosofica (Tetsugaku jiten) in giapponese. La figura di Tomonaga padre è notevolmente rilevante per la nostra storia: ad oggi ancora poco studiato, egli viene descritto da [Shibasaki, 2011], come un filosofo che «sotto l’influenza del neokantismo, si è impegnato a formare l’identità moderna del Giappone a partire da una percezione del mondo basata sullo studio della storia della filosofia», e più oltre come «figura formativa della moderna filosofia giapponese, [che ha agito da] ‘contestualizzatore’ nel [processo di] comprensione della filosofia occidentale». Incidentalmente, la nostra formulazione delle interazioni culturali e dei contributi di esse alla cultura mondiale sarà sulla linea di Sanjuro Tomonaga.

Come per una forza d’attrazione esistente tra i pochi entusiasti della fisica fondamentale, Tomonaga incontra Yukawa al liceo e come lui legge, tra le altre cose, il trattato semi-divulgativo di Ishihara sulla relatività. Intraprendendo il variegato corso in fisica teorica, i due affrontano da soli lo studio della meccanica quantistica inaugurando, con la loro collaborazione, quel serrato confronto con i problemi di punta che li accompagnerà fino alla fine. Come ricorderà Tomonaga molti anni dopo [Tomonaga, 1968], un primo confronto era scaturito nel 1928 dall’incontro con la formulazione di Schrödinger della teoria quantistica. Quella formulazione aveva l’inconveniente di rimpiazzare il sistema tridimensionale di coordinate spaziali nel quale descrivere l’evoluzione del sistema fisico nel tempo con uno spazio delle configurazioni multidimensionale nel quale ad ogni particella erano associate tre dimensioni. Più di quanto avesse fatto con Tomonaga, l’impossibilità che ne derivava di farsi un’immagine mentale del processoaveva turbato non poco Yukawa, il quale aveva cercato di risolvere il problema dei livelli energetici dell’atomo di elio (a due elettroni) nello spazio euclideo usuale. Quella cui Yukawa era indipendentemente arrivato assomigliava al metodo di campo medio nella potente versione che il fisico inglese Douglas Hartree aveva recentemente proposto ed applicato con successo agli atomi con molti elettroni. Come vedremo, il metodo di Hartree-Fock sarà un leitmotiv nella traiettoria concettuale di Tomonaga: verrà applicato per analogia sia al problema dell’auto-energia del nucleone che alla rinormalizzazione dell’elettrodinamica quantistica passando per il suo utilizzo nel contesto dello sviluppo del radar [Gaudenzi, 2022].

Tomonaga si laurea nel 1929 in parallelo con l’amico Yukawa e nello stesso anno conosce Yoshio Nishina attraverso un ciclo di letture date da quest’ultimo sulla meccanica quantistica che aveva appreso durante il suo soggiorno in Europa. Due anni dopo, a seguito del lavoro come assistente universitario, Tomonaga diventerà collaboratore di Nishina presso l’Istituto per la Ricerca Fisica e Chimica (Riken, Tokyo) e lì comincerà a misurarsi con vari problemi nell’ambito della meccanica quantistica relativistica di Dirac e dei potenziali nucleari, a volte migliorando o estendendo metodi e risultati già esistenti, a volte ottenendo indipendentemente risultati simili. A differenza di quello di Yukawa, questo lavoro matematico, ‘artigianale’, raffinato, di basso profilo, meticoloso e cauto caratterizzerà tutta la parabola di Tomonaga e gli farà guadagnare il secondo premio Nobel giapponese per la fisica.

Per comprendere parte della formazione come ricercatore di Tomonaga è importante caratterizzare brevemente l’eterogeneità intellettuale dell’Istituto Riken e la posizione in esso del laboratorio diretto da Nishina, nel quale egli crebbe accademicamente e a cui rimase legato per diversi anni della sua carriera. Al suo ritorno in Giappone dall’Europa, nel 1929 Nishina aveva fondato uno dei laboratori dell’Istituto Riken: il suo faceva parte di una costellazione di laboratori indipendenti ognuno dei quali era diretto da una figura a cui veniva data una notevole autonomia nella selezione dei temi di ricerca, del personale e nella gestione del budget. Questo cosiddetto ‘sistema di laboratorio’ consentiva interazioni umane e scientifiche tra scienziati dei diversi laboratori e le promuoveva attraverso un seminario transdisciplinare periodico. Tra le reminiscenze dei seminari più vivide di Tomonaga ci sono le interazioni con i fisici che lavoravano sui semiconduttori, il rilassamento dello spin nucleare e i metodi di approssimazione nella fisica dello stato solido [Tomonaga, 1968]. All’interno di questa costellazione di laboratori, quello di Nishina faceva ricerca sperimentale su ciclotroni, radioisotopi e camere di ionizzazione e raggi cosmici, sia a scopo fondamentale che nei loro usi in biologia e medicina [Kanamori, 2016]. A partire dal 1932, Nishina aveva aggiunto una divisione di fisica teorica formata attorno a Tomonaga, che comprendeva Sakata, Kobayashi (poi fondatore del primo gruppo di fisica teorica dello stato solido a Kyoto [Tomonaga, 1968]), e pochi altri [Brown, 1991b]. In questo «paradiso libero degli scienziati», per usare le parole di Tomonaga, si svolgevano discussioni informali e attive sul modello dei gruppi di ricerca europei dei quali Nishina e pochi altri avevano esperito il ‘Kopenhagener Geist’ (‘lo spirito di Copenhagen’) [Ito, 2002]. In quel contesto, nell’estate del 1935, Tomonaga e Nishina realizzeranno, insieme a due altri collaboratori, la prima traduzione in giapponese del manuale di Dirac I principi della meccanica quantistica. Con essa, il piccolo gruppo costruisce effettivamente la prima versione di un dizionario giapponese per parlare e ‘visualizzare’ i fenomeni quantistici, che ha continuato a evolversi edizione dopo edizione fino ad oggi. Un compito molto impegnativo, come ricordò in seguito Tomonaga [Tomonaga, 1968], questo lavoro di ‘in-traduzione’ (traduzione-introduzione, il termine è nostro) dei concetti quantistici è svolto per il bene dei «numerosi [futuri] studenti di fisica del nostro paese», ma non solo. Quel lavoro rappresenta per Tomonaga anche un’intensa attività di riflessione e ripensamento dei concetti base della meccanica quantistica.

Proprio in uno dei gruppi di ricerca europei dove si coltivava lo ‘spirito di Copenhagen’, il gruppo di Heisenberg all’Università di Lipsia, Tomonaga farà un soggiorno di ricerca grazie all’intercessione di Nishina. Ripercorrendo in parte la traiettoria del padre, che aveva trascorso il periodo 1909-1913 a studiare in Europa presso vari filosofi, Tomonaga si ritroverà dunque a spendere circa due anni, dal 1937 fino allo scoppio della Seconda Guerra mondiale nel 1939, in Germania presso quell’Heisenberg che lo aveva colpito anni prima.

L’attività di ricerca di Tomonaga a Lipsia si concentra su due argomenti principali, che sono fortemente correlati allo sviluppo di due metodi di approssimazione: il modello collettivo del nucleo, ispirato all’analogia con il comportamento di un fluido, e la versione generalizzata del metodo non-perturbativo di Hartree-Fock nel contesto dell’auto-energia del nucleone. Entrambi sono semi che Tomonaga getta in quel periodo, ma che saranno ripresi e rielaborati in momenti diversi della sua traiettoria futura e diventeranno snodi della relazione dialettica con Yukawa. Al suo ritorno all’Istituto Riken, all’inizio del 1940, Tomonaga ritrova lo stesso piacevole ambiente, ma con i ranghi allargati: sono entrate nuove leve come Satoshi Watanabe, e teorici del gruppo di Yukawa come Mitsuo Taketani, ma anche i più volenterosi tra i neolaureati dell’Università Imperiale di Tokyo come Tatsuori Miyajima. In questa nuova costellazione, con Tomonaga alla guida dei tradizionali seminari settimanali del laboratorio di Nishina, l’Istituto Riken diventa uno dei due poli in Giappone dove la ricerca sulla teoria del mesone di Yukawa viene sistematicamente perseguita, sia sperimentalmente che teoricamente [Miyajima, 1976a]. I seminari, che iniziano ad essere conosciuti informalmente come ‘seminari di Tomonaga e Nishina’, non sono più riservati solo ai membri interni del gruppo teorico, ma anche, nel rispetto dello spirito di apertura e partecipazione dell’Istituto, formalmente aperti a quegli studenti delle università circostanti più curiosi di avventurarsi nel territorio ‘esotico’ della fisica nucleare delle alte energie. In continuità con il lavoro iniziato in Germania, nei seminari del 1940-41 Tomonaga discute con i fisici sperimentali i risultati sempre più accurati della sezione d’urto di scattering mesone-nucleone [Brown, 1991b], la discrepanza problematica tra questi e la sezione d’urto calcolata con metodi perturbativi, e il suo modello del nucleone, costruito come generalizzazione del metodo di Hartree-Fock e volto a colmare questa discrepanza includendo gli effetti dell’auto-energia in modo non perturbativo.

Con la crescente partecipazione del Giappone nel secondo conflitto mondiale, nel corso del 1942 i seminari si diradano e la partecipazione viene forzatamente ridotta dalla chiamata alle armi. Esentato dal servizio militare per la costituzione gracile e la salute cagionevole, la chiamata alle armi coinvolgerà Tomonaga in altre maniere, per il combinato disposto delle sue abilità con i metodi di approssimazione e la loro applicazione nel contesto dell’ingegneria dei radar, e della sua curiosità verso quelle questioni. Come ricostruisce Kenji Ito [Ito, 2017], nella fase iniziale della guerra Tomonaga è uno dei pochi teorici del laboratorio di Nishina che quest’ultimo non coinvolge nello sviluppo dei progetti di rilevanza bellica (i.e., radar e bomba atomica), lasciandolo lavorare sui progetti di fisica teorica. È piuttosto Tomonaga sua sponte ad interessarsi alla ricerca condotta dalla marina militare giapponese sui radar e a lavorare inizialmente sui problemi trasmessigli da Miyajima, fisico incaricato di comunicare con gli ingegneri della Marina [Miyajima, 1976b]. Nel giro di qualche mese, nel gennaio del 1944 Tomonaga sviluppa un modello matematico efficace della trasmissione delle microonde nelle guide d’onda e del meccanismo di oscillazioni degli elettroni nei magnetron (i generatori di microonde) [Miyajima, 1976b] [Tomonaga - Miyajima, 1976b] [Ito, 2017], fondamentali per la modellazione teorica dei radar. Il modello della trasmissione attraverso le guide d’onda proposta da Tomonaga è influenzato dal lavoro, all’epoca sotto segreto militare e giunto in Giappone tramite un sottomarino tedesco, di Heisenberg sulla cosiddetta ‘matrice S’, e costruita adattando alle onde elettromagnetiche l’idea della ‘matrice di scattering’ introdotta nel contesto della collisione tra particelle quantistiche da Gregory Breit nel 1940 [Tomonaga, 1947] [Ito, 2017]. Il modello del movimento collettivo degli elettroni nel magnetron risulta invece combinando un’analogia con la teoria dell’emissione stimolata in meccanica quantistica con l’approssimazione di campo medio [Ito, 2017]. Nonostante questi studi possano apparire come un notevole allontanamento dalla fisica teorica in direzione dell’ingegneria, erano da lui percepiti come, dirà Tomonaga più tardi, ‘estensioni della fisica quantistica’ [Ito, 2017]. Analogamente a quanto sarebbe accaduto con Julian [Schwinger, 2008], alcune delle abili semplificazioni e dei trasferimenti concettuali compiuti nell’esplorazione di tali ‘estensioni’ avranno un impatto sui suoi lavori successivi di fisica teorica pura.

Come vediamo da questo rapido tratteggio, se la produzione di Yukawa si caratterizza per la sua concentrazione su pochi problemi fondamentali, l’audacia dei concetti e il carattere rivoluzionario talvolta esibizionista delle proposte, quella di Tomonaga, più sobria e meno ambiziosa, ruotano attorno alla ricerca di soluzioni approssimate ai problemi a molti corpi e agli stratagemmi matematici ed è dunque caratterizzata dall’inventiva e da un certo ‘virtuosismo’ matematico. In quanto mossa dalla curiosità per i metodi, essa si intreccia con un ampio spettro di argomenti e problemi — dalla fisica nucleare all’elettronica, dalla fluidodinamica, alla fisica dei plasmi, dalla fisica atomica alla elettrodinamica quantistica — che ricorrono varie volte nella traiettoria di Tomonaga. In questo tipo di ricerca, la riflessione procede meticolosamente dal punto di vista matematico ed esplorando sistematicamente tutti i sentieri. Come riporteranno tre dei suoi giovani collaboratori, Nobuyuki Fukuda, Yoneji Miyamoto e Miyajima, in occasione del suo sessantesimo compleanno [Fukuda - Miyamoto - Miyajima, 1966]:

La curiosità di Tomonaga non è mai soddisfatta prima che ogni possibilità concepibile venga messa alla prova e criticata. Sulla sua scrivania solevamo trovare una pila spessa un centimetro di grandi fogli di calcoli. Quando qualcuno indicava una possibilità diversa, raramente mancava di prendere un pacco di carte dalla pila che mostrava che aveva già riflettuto su quella possibilità.

Come suggerisce anche Olivier [Darrigol, 1998] una tale attitudine non avrebbe avuto successo nel caso dell’ipotesi del mesone di Yukawa. Si potrebbe aggiungere che un’esplorazione troppo attenta e la tendenza a pubblicare solo idee matematicamente e concettualmente compiute, avrebbero probabilmente fatto finire l’idea nella pila dei calcoli considerati, ma scartati.

La divergenza sulle divergenze: filosofie antitetiche a confronto

Le diverse capacità tecniche, inclinazioni e strategie di ricerca di Yukawa e Tomonaga che emergono dal tratteggio che ne abbiamo fatto, si sono plasmate e manifestate apertamente in due distinti approcci al problema delle divergenze (o auto-campo infinito) nella teoria quantistica dei campi. Come conseguenza della natura quantistica e insieme relativistica della teoria, ogni particella è accompagnata da un auto-campo costituito dalle particelle cosiddette ‘virtuali’ (e.g., fotoni, elettroni, positroni virtuali per il campo elettromagnetico) che costantemente si creano e si annichilano, e non sono dunque direttamente osservabili (da cui l’attributo ‘virtuali’). Tali particelle, circondando o ‘vestendo’, per così dire, ogni particella, possono essere pensate come fluttuazioni quantistiche del campo della particella. Come già accennato, l’assenza di un limite superiore all’energia e quantità di moto di tali fluttuazioni (particelle virtuali) si traduce in un auto-campo/-energia infinito e nella creazione di un numero arbitrario di particelle.

Il problema dell’auto-campo/-energia, apparentemente intrinseco alla struttura quantistico-relativistica, era al centro dei seminari all’Istituto Riken e gli incontri del cosiddetto ‘Meson-kai’ (‘kai’ può significare, a seconda del contesto, club, discussione, o festa). Quegli incontri, tenuti due o tre volte all’anno nel periodo 1941-43 e con un’audience di 20-50 persone [Brown, 1991a], crearono l’occasione per lo sviluppo e il contrasto tra gli approcci di Yukawa e Tomonaga, e contengono le premesse sia della teoria di campo non locale di Yukawa che della rinormalizzazione perturbativa di Tomonaga, sviluppate negli anni a venire. Come vedremo nel seguito, Yukawa sosteneva una revisione radicale dei presupposti alla base della teoria dei campi, mentre la strategia di Tomonaga era quella di risolvere il problema delle divergenze lavorando all’interno del paradigma esistente. Gli incontri del ‘Meson-kai’ diventano così l’arena in cui queste due filosofie emergono e si confrontano proficuamente su quale poteva essere la forma della futura teoria quantistica dei campi. Esaminiamo ora l’emergere delle rispettive posizioni.

L’approccio di Tomonaga al problema dell’auto-energia infinita

Nell’ultima parte del suo soggiorno a Lipsia nel gruppo di Werner Heisenberg, Tomonaga si era concentrato sul problema aperto della sezione d’urto mesone-nucleone e, indirettamente, sullo status del mesone postulato da Yukawa. Come abbiamo già avuto occasione di segnalare, il problema aperto, che divenne una delle principali riserve sull’ipotesi di Yukawa fino al 1947, era una discrepanza tra la sezione d’urto sperimentale tra mesone e nucleone ad alta energia e il valore calcolato dalla teoria [Gaudenzi, 2022]. In quel contesto, Heisenberg, tra gli altri, aveva segnalato un problema e una possibile risoluzione: la sezione d’urto in questione era calcolata, in assenza di una tecnica alternativa di approssimazione, con la consueta teoria delle perturbazioni [Maki, 1991].Ciò presupponeva una costante di accoppiamento mesone-nucleone piccola, e in pratica permetteva di considerare nel calcolo solo i processi in cui erano coinvolti pochi mesoni. Poiché la costante di accoppiamento nucleare non è però piccola - il che implica che i processi che coinvolgono molti mesoni sono in realtà quelli dominanti - il trattamento perturbativo sistematicamente sottostima anche l’auto-campo del nucleone, e di conseguenza la sua possibile influenza sulla sezione d’urto mesone-nucleone. Un’approssimazione più accurata dell’auto-campo avrebbe dunque ipoteticamente potuto rendere conto della discrepanza tra la sezione d’urto calcolata e quella sperimentalmente osservata.

Fermamente convinto della necessità di andare oltre il metodo perturbativo fino ad allora utilizzato, Heisenberg abbozza un toy-model meccanico in cui i mesoni dell’auto-campo sono fortemente accoppiati con lo spin (e il momento angolare) del nucleone [Heisenberg, 1939]. Questo dà al nucleone una ‘inerzia’ che ha il risultato di diminuire la probabilità di collisione tra un mesone ad alta energia e il nucleone, e produce un valore più vicino a quello sperimentale.

Stimolato da Heisenberg sulla necessità di un’approssimazione non-perturbativa, Tomonaga si propone di derivare un’espressione chiusa per l’auto-campo del nucleone e la sezione d'urto mesone-nucleone calcolate con un metodo non-perturbativo. Egli arriva a tale espressione con un’analogia formale: trasponendo al dominio nucleare il metodo di approssimazione di Hartree-Fock, fino ad allora applicato solo a problemi di fisica atomica e molecolare [Gaudenzi, 2022]. Nella formula, ottenuta nel caso idealizzato di un nucleone infinitamente pesante e qualche altra assunzione aggiuntiva, l’auto-campo del nucleone appare esplicitamente nel denominatore dell’espressione, confermando il suo ruolo nella soppressione della sezione d’urto, come originariamente intuito da Heisenberg [Tomonaga, 1976a]. Questi risultati vengono esposti, qualche tempo dopo il suo ritorno in Giappone, all’incontro del Meson-kai nel giugno 1941, e trascritti poi in un articolo pubblicato sulla rivista del Riken con il titolo Zür Theorie des Mesotrons. I [Tomonaga, 1955b] [Tomonaga - Miyajima, 1976a].

Sebbene incoraggiante per certi aspetti, il risultato di Tomonaga sfruttava la procedura ad hoc consueta in teoria dei campi, detta ‘cut-off’, per eliminare la divergenza dell’auto-campo. Un tale espediente era indesiderabile non solo per la sua arbitrarietà ma anche per la sua mancanza di invarianza relativistica. Di primo acchito, questo fatto fa apparire il suo approccio non perturbativo non più vicino alla risoluzione dei problemi degli infiniti rispetto alle soluzioni che erano state fino ad allora proposte nell’ambito dell’elettrodinamica. Ad un’analisi storica più accurata, in realtà il modello di Tomonaga comincia, almeno in parte, a ‘mettere in ordine’ le divergenze, già con l’intento più o meno esplicito poi di usare l’espressione ricavata per eliminarle dal calcolo dei processi di collisione [Maki, 1991], un processo che troverà forma compiuta qualche anno dopo con la rinormalizzazione dell’elettrodinamica quantistica. Questo attacco graduale e pragmatico al problema degli infiniti proposto da Tomonaga, che punta a trovare una soluzione rimanendo nell’ambito concettuale della teoria quantistica dei campi, trova l’opposizione di Yukawa, che ha una posizione nettamente diversa a riguardo.

L’approccio di Yukawa al problema dell’auto-energia infinita

La strategia di Tomonaga, dettata dalla convinzione che i problemi della teoria dei mesoni (e, di fatto, della teoria quantistica dei campi in generale) sarebbero stati risolti attraverso un cambiamento del metodo di approssimazione non è condivisa da tutto il ‘club dei mesoni’, e segnatamente da Yukawa. Persa nel frattempo la fiducia nell’esistenza del mesone e sopraffatto da un’insoddisfazione nei confronti dello stato attuale della teoria quantistica dei campi, in quel periodo Yukawa era tornato a riflettere sul problema delle divergenze, che lo perseguitava fin dalla laurea, e aveva iniziato a sostenere, in contrasto con Tomonaga, come necessario un cambiamento di paradigma, un radicale ripensamento dell’impianto concettuale dell’attuale teoria dei campi, «una trasformazione della teoria stessa» [Yukawa, 1991]. In quel contesto egli propone le idee che stanno alla base del quadro concettuale cui lavorerà instancabilmente fino alla fine della sua carriera. I tratti salienti di tale quadro sono espressi nell’intervento tenuto al terzo incontro del Meson-kai nell’aprile del 1942 intitolato Particelle elementari, spazio-tempo e causalità [Kawabe, 1991b]; ed elaborati più estesamente, nella forma dialogica ad essi congeniale cui abbiamo accennato, in una serie di articoli usciti su Kagaku nello stesso anno intitolati Sul fondamento della teoria dei campi, raccolti e tradotti in [Yukawa, 1979b].

La riflessione proposta da Yukawa in quegli scritti è di fatto non solo motivata dal problema delle divergenze nella teoria quantistica dei campi, ma anche dalla mancanza di invarianza relativistica di quest’ultima, un problema centrale dei modelli esistenti all’epoca tra i quali quello proposto da Heisenberg e Pauli [Heisenberg - Pauli, 1929]. Quest’ultimo incorre nell’inconveniente di associare lo stesso tempo a diversi punti dello spazio [Yukawa, 1979a] [Tomonaga, 1966], cosa che rende asimmetrico il trattamento dello spazio e del tempo. Secondo Yukawa, i due ordini di problemi - o, come le chiama, le «inconsistenze interne» [Yukawa, 1979a] - di cui sopra erano a sua volta anche causa delle inadeguatezze della teoria mesonica delle interazioni nucleari, il che costituiva un’ulteriore urgente motivazione per arrivare ad un quadro teorico solido di teoria dei campi quantistici.

Attraverso la forma dialogica - le domande semplici e le richieste di spiegazione dell’interrogatore immaginario - Yukawa costruisce l’opportunità di rivedere alcune operazioni concettuali basilari come l’inquadramento spazio-temporale dei fenomeni e l’analisi di essi in termini di relazioni causali. Se dal punto di vista tecnico il punto di partenza è l’articolo di Dirac del 1933 [Dirac, 1933] - che Yukawa aveva già studiato con attenzione all’epoca -, la prospettiva di Yukawa muove da, e approda a, considerazioni più generali. Il cuore della sua proposta sono in particolare due concetti che egli aveva cominciato ad incubare fin dal 1934 [Kawabe, 1991c] [Takabayasi, 1991]: l’inseparabilità di causa ed effetto in alcune regioni dello spazio-tempo e la distinzione tra equazioni di campo e condizioni al contorno. Entrambi gli elementi emergono in relazione ai limiti di applicabilità delle nozioni di causalità e campo locale (e delle nozioni, ad essi collegate, di particella puntiforme e della continuità dello spazio-tempo) che, secondo Yukawa, renderebbero la teoria quantistica incompatibile con la relatività. Yukawa sostiene che ci sia qualcosa di fondamentalmente errato nel considerare il campo quantistico come specificabile in ogni punto geometrico dello spazio-tempo, e di conseguenza nell’associare la particella elementare ad un singolo punto di questo. Secondo Yukawa, la nozione fondamentale da cui muovere per una teoria dei campi compiuta non è dunque il punto, ma piuttosto una figura circolare (più generalmente una curva chiusa), ‘maru’ in giapponese: un oggetto esteso che racchiude una porzione di spazio-tempo e che egli ripetutamente disegna sulla lavagna durante i seminari di quegli anni con un tacito riferimento all’atto del calligrafo che traccia sulla lavagna la figura archetipica della filosofia zen [Takabayasi, 1991] [Kawabe, 1991c]. Considerando la distribuzione dei campi su una tale curva generica, in luogo di considerarne il valore in due punti dello spazio-tempo (come si fa normalmente in teoria dei campi), si trasformano gli oggetti matematici della teoria: se prima si trattavano le probabilità che un dato effetto (valore del campo in un punto dello spazio-tempo) si verificasse data una causa/condizione (valore del campo in un altro punto), nella proposta di Yukawa si tratta con la probabilità a priori, i.e., incondizionata, di una certa distribuzione dei campi sui punti della curva chiusa. Conseguenza di ciò è che i campi in alcuni punti della curva non sono considerati effetto di alcuna causa, contravvenendo al principio secondo cui ogni effetto è prodotto da una causa (che lo precede spazio-temporalmente). Con tale operazione, si mettono dunque in discussione il ruolo di campo locale e l’applicabilità del principio di causalità alla scala della singola particella elementare.

È interessante notare che le riflessioni di Yukawa sulla causalità potrebbero essere in parte il risultato delle influenze esercitate su di lui dal filosofo Kitaro Nishida. Nishida a più riprese critica l’assunzione della causalità come principio metafisico universale - e dunque la sua validità in tutto l’universo fisico -, supportando invece la visione di esso come principio astratto assunto con una valenza pragmatica in reami ristretti di un più ampio reale concreto. In altre parole, secondo Nishida il principio di causalità, e più in generale il mondo oggettivo delle scienze e le varie astrazioni scientifiche, si costituiscono come astrazione a partire dall’attività unificante della coscienza, considerata invece come il punto di partenza concreto e primario. Elemento a favore di questo, sostiene Nishida, è il fatto che, quando interpretata come principio universale, la causalità (lineare) porta inevitabilmente ad un regressus ad infinitum - che è interrotto solo assumendo, in contraddizione con tale principio, qualcosa di auto-sussistente (un absolutum che causa ma che non è causato) [Nishida, 1992]. A questo Nishida contrappone la visione della tradizione orientale, che è invece basata sulla nozione di causalità circolare/interdipendenza, nella quale questo problema non si pone. La generazione o causazione in quel caso è infatti sempre una generazione co-dipendente, dal nulla, di natura fondamentalmente relazione e non sostanziale, e che non presuppone l’esistenza assoluta di alcunché. Si può pensare che tale posizione abbia influenzato Yukawa, aprendogli la possibilità che il principio di causalità non sia fondamentale.

A supporto della possibile interazione tra filosofia e fisica in Giappone che proponiamo, occorre anche dire, da una parte, che Yukawa leggeva e conosceva il lavoro di Nishida e, a detta del suo collaboratore [Takabayashi, 1991], ne fu influenzato. Dall’altra parte, la riflessione di Nishida è legata alla fisica, a partire dalla tesi di laurea proprio sull’idea di causalità secondo Hume. Al di là di questa possibile corrispondenza specifica, segnaliamo anche una più generale risonanza tra la speculazione fisica di Yukawa e quella filosofica di Nishida, risonanza che riguarda soprattutto la fondamentalità dei temi e il carattere della riflessione: Nishida come filosofo e Yukawa come fisico si pongono domande sulla natura dello spazio-tempo (semplice contenitore o luogo delle relazioni?), della materia-energia (meramente contenuto nel contenitore spazio-temporale o qualcosa di più?) e della causalità (sintesi o selezione delle regolarità osservate o principio universale?), nonché sulle relazioni tra questi tre concetti. E benché l’obiettivo di Nishida sia una teoria della conoscenza che parte dalla coscienza e quello di Yukawa una teoria delle particelle elementari, entrambi convergono su temi affini e si fanno ispirare da tradizioni come il taoismo (Lao-Tzu e Chuang-Tzu) e il buddismo zen. Fermo restando che in Nishida l’uso di queste tradizioni è sistematico e in Yukawa ha (comprensibilmente) anche carattere aneddotico, tali affinità sono evidenti nei rispettivi flussi di pensiero: come Nishida ricorre e torna periodicamente alla fisica e allo spazio fisico - e come soggetto dell’analisi e come metafora dello spazio della coscienza - così il congetturare di Yukawa, partendo dalle considerazioni tecniche di Dirac, si spinge sul terreno filosofico lasciando entrare alcune idee ‘filosofiche’ nella sua argomentazione. L’affinità e la reciproca influenza tematica si nota anche osservando superficialmente le rispettive produzioni. Nella sua speculazione filosofica, Nishida è attento alla fisica, come testimoniano i saggi di filosofia della scienza come Scienza sperimentale (1938), Il mondo fisico (1942) e Spazio (1944). Viceversa, la produzione di Yukawa acquista un lato più marcatamente filosofico, specialmente tra il 1938 e il 1943 in una quasi perfetta coincidenza temporale, come suggerito dai titoli delle relazioni e degli articoli di quel periodo: per segnalarne alcuni - sfortunatamente non tradotti - Il mondo fisico (marzo 1942) uscito sulla rivista generalista Kaizo, Struttura della realtà (giugno 1942) e Sulla forma delle leggi naturali (febbraio 1943) usciti su Kagaku-shicho e raccolti nei sette capitoli del saggio dal titolo suggestivo Sonzai-no-Riho (Leggi dell’essere, 1943).

La reazione di Tomonaga alla proposta di Yukawa, e l’impostazione del suo programma di rinormalizzazione

Riguardo alle speculazioni di Yukawa al Meson-kai, Tomonaga dirà poi di essere rimasto confuso dal loro carattere caotico e non persuaso dalla necessità di quell’approccio radicale [Tomonaga, 1966]. Nonostante questo contrasto di punti di vista e, come vedremo, proprio in virtù di esso, l’analisi di Yukawa richiama la sua attenzione sui problemi della teoria dei campi e sulla proposta di, ed agisce in questo modo da stimolo su Tomonaga a fornire una soluzione praticabile all’interno del quadro esistente della teoria dei campi, cioè «senza essere costretti a rinunciare al modo di pensare causale» [Tomonaga, 1966]. Testimonianze di questo stimolo sono la citazione dell’articolo su Kagaku nell’articolo di Tomonaga del 1943 - successivamente ripubblicato in inglese in Tomonaga, 1946 - nonché il suo ricordo del percorso che lo ha condotto alla rinormalizzazione in occasione della consegna del premio Nobel [Tomonaga, 1966]. La differenza tra i due sta nella strategia di attacco di quei problemi. Se Yukawa considerava alcuni aspetti della cosiddetta ‘teoria a molti tempi’ di Dirac come un primo passo verso una riforma radicale che intendeva risolvere «gli svariati problemi in un sol colpo, come nel caso della teoria dei mesoni» [Yukawa, 1979b], Tomonaga si era messo a cercare un’estensione concreta di quella teoria in modo da arrivare ad un’ampiezza di probabilità che fosse relativisticamente invariante senza mettere in discussione le assunzioni di causalità e campo locale. In questo modo egli si proponeva dunque di concentrarsi sul problema dell’invarianza relativistica, lasciando in un primo momento da parte il problema degli infiniti. Per fare ciò, l’idea era di rimuovere l’asimmetria tra spazio e tempo nel formalismo dei campi utilizzato da Heisenberg e Pauli adottando il formalismo di Dirac; e dall’altra di estendere quest’ultimo ad un numero infinito di gradi di libertà (i.e., a tutti i punti dello spazio-tempo). Già nel 1943, Tomonaga delinea i tratti salienti di questo nuovo formalismo - da lui battezzato dei ‘super-molti-tempi’ (‘super-many-time theory’) sottolineando la forte continuità concettuale con Dirac -, benché la sua applicazione concreta all’elettrodinamica quantistica arriverà solo dal 1946 in poi [Tomonaga, 1946] [Hayakawa, 1991]. Solo in questa seconda fase, l’attenzione è rivolta al problema dell’auto-campo infinito, nel risolvere il quale Tomonaga utilizza un’analogia con il modello di Hartree-Fock - su cui, come detto, aveva lavorato negli anni 1939-40 - e il suo lavoro sul magnetron [Gaudenzi, 2022] [Ito, 2017]. Il risultato sarà una procedura nota come rinormalizzazione della massa e della carica elettrica delle particelle elementari. Questa consiste essenzialmente nel trasformare tutti i processi che contribuiscono all’auto-campo e che sono divergenti nella teoria in termini omogenei alla massa o alla carica elettrica, sommarli ad esse e fissare le due grandezze risultanti ai valori sperimentalmente misurati. Inglobate le divergenze e ridefinite le proprietà delle particelle in questo modo, la teoria permette di fare previsioni finite sulle rimanenti proprietà delle particelle e delle collisioni, che si rivelano in accordo con gli esperimenti. Il cammino verso una teoria dell’elettrodinamica quantistica rinormalizzata finalmente funzionale e completa è per Tomonaga e i suoi un’impresa intellettualmente e fisicamente ardua, per non dire estenuante. Ne sono causa non solo la difficoltà tecnica, ma anche i bombardamenti in corso sul Giappone dal 1943, la precaria salute di Tomonaga nonché la presenza discontinua e sporadica dei suoi giovani collaboratori costretti alle armi.

L’atteggiamento pragmatico e più analitico di Tomonaga rispetto a quello di Yukawa, il divide et impera basato sulla separazione tra la questione dell’invarianza relativistica e quello delle divergenze, aveva dato i suoi frutti. Pur non eliminandoli strettamente, la rinormalizzazione era riuscita, per così dire, ad esprimere gli infiniti in modo distinto e a soggiogarli in modo che non costituissero più un impedimento alla predizione di altre quantità e rendessero dunque la teoria di fatto falsificabile. Nonostante il successo di questo ingegnoso procedimento matematico, l’insoddisfazione per essa non tardò a manifestarsi negli scritti di Tomonaga. Questa insoddisfazione ed incompletezza di fondo lo portò a riflettere sui limiti fondamentali dell’impostazione della teoria dei campi, e dunque a riconvergere verso Yukawa.

I due approcci riconvergono: il ‘testamento’ di Tomonaga

In un articolo pubblicato su Kagaku nel gennaio 1949 ed eloquentemente intitolato Lo sviluppo della teoria delle particelle elementari - Discussioni incentrate sul problema delle divergenze, Tomonaga guarda criticamente al proprio contributo all’elettrodinamica quantistica e ne traccia una possibile prosecuzione [Tomonaga, 1976b]. La discussione ha il tono di un testamento nel quale Tomonaga confessa l’insoddisfazione concettuale per la rinormalizzazione, nonostante il suo indubitabile successo numerico e sperimentale. Da un lato, sottolinea che lui e il suo gruppo hanno «spinto i problematici infiniti, per così dire, passo dopo passo, in un angolo» e, di conseguenza, «hanno scoperto che la teoria, per quanto imperfetta, è ancora utilizzabile in misura considerevole». D’altro canto, ai suoi occhi, quella non era altro che una «spedizione di transizione» a seguito della quale rimaneva alquanto difficile dire se la teoria avesse ancora «un valore sufficiente per fungere da guida» o fosse «perfettamente inutile». La teoria rinormalizzata era certamente un progresso, ma - e qui Tomonaga faceva eco a Yukawa - non estirpava il problema della divergenza e avrebbe richiesto una revisione concettuale fondamentale. Queste le sue parole [Tomonaga, 1976b]:

Con una postura ora affine a quella di Yukawa [Taketani, 1971], Tomonaga ora si interroga sui limiti di applicabilità del concetto di particella in teoria dei campi, e dunque proprio di quella mossa concettuale (la distinzione tra particella libera e interagente) che gli aveva permesso di costruire una teoria di campo compatibile con la relatività:

Solo qualora non esistesse alcuna interazione tra particelle elementari, o al massimo ne esistesse una che può essere resa arbitrariamente piccola, potremmo [legittimamente] partire dal concetto di particella elementare [come oggetto isolato]. Ma la conclusione della nostra teoria, lungi dal giustificare ciò, è che gli effetti dell’interazione sono sempre infinitamente grandi. Ne discende che la nostra teoria distrugge nella sua conclusione il suo presupposto di base. Implica quindi un’incoerenza.

L’elettrodinamica quantistica è ora sì in grado di eseguire calcoli, in quanto non più direttamente ‘frustrata’ dagli infiniti, e di fornire correzioni estremamente accurate alla teoria quantistica non relativistica. Tuttavia, la sua efficacia è ‘irragionevole’ a causa di un’incoerenza concettuale di base che suggerisce di andare oltre la nozione di singola particella. Secondo Tomonaga, questa incoerenza interna sorge evidentemente come conseguenza dell’abuso dell’analogia classico-quantistico:

[...] abbiamo preso in prestito i concetti di campo e la loro interazione dalla teoria dei campi classica (non quantizzata). Ed effettivamente, in una teoria non quantizzata, possiamo rendere arbitrariamente piccola l’interazione tra vari campi. Questo perché un campo infinitamente debole è concepibile nella teoria classica. Procedendo da questi elementi, concetti come un campo indipendente dagli altri e le interazioni tra di essi erano, nella teoria classica, concetti adatti a descrivere la natura. Ma il risultato inevitabile della quantizzazione è [...] che l’interazione diventa infinita. Da questo punto di vista, sembra che nella teoria attuale concetti come l’esistenza di campo indipendente da altri e di interazione richiedano di essere rivisti dai fondamenti [...].

Il concetto di particella individuale/campo non-interagente di derivazione classica e la componibilità dei campi, concetti assunti a priori, a posteriori risultavano invalidati dall’intensità delle mutue interazioni tra le particelle/campi (e.g., elettroni e fotoni). L’argomento è dunque se in una teoria quantistica una particella veramente non interagente, anche quando opportunamente modificata per essere efficace attraverso la rinormalizzazione, non rimanga di fatto un punto di partenza troppo idealizzato, se non falso, sia concettualmente che tecnicamente. Poiché la singola particella (non-interagente) è la base ontologica del metodo perturbativo, la critica di Tomonaga mette automaticamente in discussione quest’ultimo.

In sintesi, dopo una lunga e fruttuosa deviazione, anche Tomonaga si persuade della necessità di concetti alternativi a quelli adottati dalla teoria quantistica dei campi, ed in questo abbraccia e fa eco ad alcune delle osservazioni di Yukawa, benché non dichiaratamente. Diversamente da quest’ultimo, egli reagirà però di nuovo in accordo con le sue inclinazioni: riprendendo una strada presa anni prima a Lipsia, cercherà gli elementi della nuova descrizione delle particelle e delle interazioni fondamentali ispirandosi alle descrizioni collettive e ai relativi metodi di approssimazione sviluppati nell’ambito dei sistemi interagenti a molti corpi, in ambito nucleare e dello stato solido [Gaudenzi, 2022]. La ‘rivoluzione’ intrapresa da Tomonaga è così, ancora una volta, meno eclatante e cauta: procede attraverso un’attenta analisi e rielaborazione di metodi di approssimazione esistenti e li applica per analogia alla fisica delle particelle. Per usare l’espressione di Sakata, è la rivoluzione di un ‘conservatore non-reazionario’ [Sakata, 1954].

Considerazioni finali. L’artigiano e il rivoluzionario: due esempi di fertilizzazione culturale

I due approcci ai problemi fisici adottati da Tomonaga e Yukawa che abbiamo messo a confronto qui vengono espressi in maniera calzante dagli appellativi ‘artigiano’ e ‘rivoluzionario’. Mentre Tomonaga segue una traiettoria più cauta e per gradi che avrà grande successo, per poi riconoscere talvolta i limiti della sua soluzione, Yukawa è sempre alla ricerca di un’idea più rivoluzionaria e ambisce ad una revisione radicale dei concetti come principio della sua poetica. Se Tomonaga punta con meticolosità alla chiarezza e ricerca schemi matematici compiuti e funzionanti, Yukawa segue, per così dire, Lao-Tzu nella convinzione che ciò che può essere espresso con chiarezza «non è la Via immutabile e assoluta» [Yukawa, 1973]. In linea con questa visione, in altri passi egli considera come negativo lo scollamento tra l’attività scientifica della fisica moderna da una parte e l’attività letteraria e filosofica dall’altra [Yukawa, 1973] e ascrive il fenomeno al ruolo secondario che l’immaginazione e l’intuizione hanno acquisito rispetto all’astrazione matematica nella fisica teorica.

Corrispondentemente, entrambi i fisici usano l’analogia come strumento, ma con concezioni e finalità diverse. Yukawa insiste su come nell’analogia scientifica, l’identificazione tra dissimili che prende corpo nella testa del fisico, ci sia una forte componente di creatività e immaginazione [Yukawa, 1959] [Furlan - Gaudenzi, 2022]. Anche Tomonaga fa ampio uso del ragionamento analogico, ma sfruttandolo su un piano più tecnico-formale: egli traccia analogie specialmente tra metodi di approssimazione usati in vari campi della fisica (fisica delle particelle, della materia e nucleare), e usa dunque l’analogia soprattutto come strumento di trasferimento di tecniche matematiche [Gaudenzi, 2022]. La condizione necessaria per la costruzione di questo tipo di analogie era un interesse trasversale e una conoscenza di tali tecniche al di fuori della fisica delle particelle. Si può sostenere che il contesto accademico giapponese sia stato in questo senso un coadiuvante per Tomonaga. La libertà concessa agli studenti di fisica teorica, l’esiguo numero di università e la relativa assenza di specializzazioni - al contrario di quello che succedeva in occidente - spingevano i fisici ad essere versatili e ad acquisire una preparazione piuttosto interdisciplinare, se non altro a confronto con gli omologhi europei e americani [Gaudenzi, 2022].

Anche un altro tratto più genuinamente culturale ha presumibilmente giocato un ruolo. Nelle sue trasposizioni analogiche del metodo di approssimazione di Hartree-Fock alla teoria dei campi (prima nel dominio nucleare e poi in quello dell’elettrodinamica quantistica) Tomonaga si ancora ad un livello concreto di speculazione e si basa sull’analogia tra enti reali e virtuali: egli visualizza e concepisce il vuoto quantistico come un mezzo concreto e le particelle virtuali come fossero particelle reali. Possiamo ascrivere questo atteggiamento alla tendenza sottostante del pensiero orientale (cinese antico e buddista) a produrre e privilegiare rappresentazioni concrete degli oggetti astratti nella speculazione.

Il successo dell’approccio di Yukawa e Tomonaga è dipeso dai problemi che di volta in volta hanno affrontato. Nel caso del mesone, vincente è stata la strategia di Yukawa, nel caso dell’elettrodinamica quantistica la strategia di Tomonaga ha avuto la meglio. Prendendo l’analogia come elemento rappresentativo dei due approcci, si può osservare come quella ardita che ha condotto Yukawa alla teoria del mesone ha aperto una dimensione di pensiero: più che costituirsi come un approdo o un punto di arrivo, ha agito come via di passaggio e avuto dunque soprattutto un valore euristico [Furlan - Gaudenzi, 2022]. Essa infatti non ha mai veramente trovato un compimento sperimentalmente adeguato, né una forma compiuta come teoria di campo in sé, ma solo nella sua evoluzione ulteriore, la teoria dei quark. Diversamente, le analogie formali e le idee matematiche proposte da Tomonaga (alla base della generalizzazione del metodo di Hartree-Fock, della rinormalizzazione e della descrizione collettiva dei sistemi a molte particelle), benché - e presumibilmente proprio in quanto - meno ambiziose, erano concepite ed elaborate per essere sperimentalmente adeguate e matematicamente piuttosto dettagliate e soddisfacenti. Questa complementarità suggerisce la necessità sia dell’‘artigiano’ che del ‘rivoluzionario’ e una certa interdipendenza dei due approcci nell’ecosistema della ricerca scientifica.

Nella loro complementarità e diversità, entrambi gli approcci sono espressione concreta di un’ibridazione fertile tra le due tradizioni di pensiero, quella europea-occidentale e quella giapponese, e incarnano alcuni aspetti dell’interazione tra pensiero scientifico e retroterra culturale in un contesto diverso da quello occidentale. Poiché i risultati di Yukawa e Tomonaga hanno avuto un notevole impatto sulla fisica, tale interazione non è stata a senso unico, quanto piuttosto una fertilizzazione incrociata tra le due tradizioni culturali, con i loro rispettivi modi di pensare e milieu socio-economici locali. In questo caso, l’incontro tra di esse ha preso forma sul terreno della ‘nuova fisica’: la meccanica quantistica e la teoria quantistica dei campi emerse in Europa che avevano cominciato a filtrare in Giappone dalla fine degli anni ’20 in poi. Mentre Tomonaga, attraverso la ‘in-traduzione’ dei concetti della meccanica quantistica e il peculiare uso dell’analogia, implicitamente introduce nella matrice scientifica europea-occidentale aspetti del contesto giapponese, Yukawa a più riprese mette anche a fuoco esplicitamente e rivendica la proficuità dell’‘approccio orientale’ per la risoluzione dei problemi aperti nel nuovo ambito. A questo proposito, è opportuno ricordare le parole di Takabayasi: «[...] Yukawa giunse a considerare, in generale, che qualche tipo di pensiero orientale potesse essere più suggestivo delle idee dell’antica Grecia e dell’Occidente che fino a quel momento erano alla base dello sviluppo della scienza» [Takabayasi, 1991]. Come la missione di Nishida è quella di tentare di superare alcuni capisaldi del pensiero filosofico occidentale, dal pensiero greco a quello contemporaneo, trovando una sintesi con il pensiero orientale, così forse quella è anche la missione di Yukawa nella fisica moderna. Tali capisaldi per Nishida sono la dicotomia soggetto-oggetto, il primato del mondo materiale sulla coscienza, la ‘necessità’ di una fondazione, nonché alcuni elementi della logica classica; per Yukawa sono la causalità, ma anche l’atomismo e la dicotomia vuoto-pieno (di cui qui non abbiamo discusso).

Nei suoi coraggiosi tentativi di partire da presupposti differenti e inserire esplicitamente elementi della tradizione orientale nella fisica moderna, Yukawa tenta di fondere insieme Oriente e Occidente per trovare una nuova sintesi, piuttosto che assorbire passivamente un fenomeno culturale occidentale. Qualcosa di analogo era già accaduto non solo in filosofia ad opera, come si è detto, dei filosofi della Scuola di Kyoto Nishida Kitaro (1870-1945) e Sanjuro Tomonaga (padre di Sin-Itiro Tomonaga), ma anche in letteratura ad opera dello scrittore Jun-Ichiro Tanizaki (1886-1965); tre dei più influenti intellettuali del Giappone di fine Ottocento che avevano ‘vissuto’ l’impatto dell’incontro-scontro tra tradizione giapponese e Occidente. Il primo, Nishida, infonde la filosofia occidentale (specialmente Descartes, Kant e Hegel) con il pensiero orientale in generale: in particolare, il buddismo Zen ma anche il Taoismo (Lao-Tzu e Chuang-Tzu), il confucianesimo e il pensiero vedico. Il fulcro della riflessione filosofica dell’altro esponente della Scuola di Kyoto, Tomonaga padre, è proprio sulla questione di quali elementi delle civiltà straniere (‘jinbun’) - in particolare quelle occidentali - il Giappone avrebbe dovuto incorporare o invece rigettare, cominciando dalle loro filosofie per arrivare alle istituzioni [Shibasaki, 2011]. Come riporta sempre la stessa fonte, quella di Sanjuro «[e]ra [...] una discussione sulla necessità di autocoscienza di fronte all’impatto dell’acculturazione occidentale» che partiva dalla considerazione del «rapporto tra il popolo giapponese e la filosofia», ed in particolare di quali filosofie (sottintendendo sempre l’aggettivo ‘europee’) il Giappone e i giapponesi avrebbero dovuto adottare per far parte della società moderna preservando al contempo la loro civilizzazione e così «giungendo alla scoperta del valore e della verità dei propri modi di pensare e della propria politica, sistemi e costumi nazionali» [Shibasaki, 2009]. In questo, egli perveniva alla conclusione che l’idealismo neokantiano e la filosofia hegeliana non rappresentavano una forzatura, ma formavano una sintesi ed erano in armonia con la preesistente tradizione panteista, mistica e universalista del Giappone. Lo scrittore Tanizaki, dall’altra parte, discute criticamente l’impatto delle invenzioni tecniche e dello stile di vita occidentali sulla cultura giapponese.

Di fronte a quella che alcuni vedevano come una globalizzazione dallo stampo colonizzatore (talvolta anche chiamato «trapianto» da Sanjuro) delle scienze, della filosofia e delle arti, Yukawa e altri intellettuali giapponesi propongono attivamente, come più proficua ed interessante, la contaminazione culturale, la crasi e la creazione di un ibrido. Si può obbiettare che l’atteggiamento di Yukawa e di Tanizaki siano stati più una dichiarazione di intenti che veicoli di un’influenza concreta. Comunque siano andate le cose, come mostrano anche le considerazioni che abbiamo fatto su Tomonaga, anche laddove non si siano compiuti tentativi espliciti, data la distanza per così dire tra mittente e destinatario, l’atto di ‘traduzione’ di un dato sapere, inteso sia come atto linguistico che come atto fisico di spostamento del sapere, ha implicato, se non costretto, una sua parziale reinvenzione o, detto in altri termini, un’appropriazione attiva. Che sia stato il risultato di tentativi espliciti o meno, tale crasi ha avuto luogo e ha portato i suoi frutti. Ciò che sottende alle traiettorie speculative di Yukawa e Tomonaga è dunque il loro intreccio con la ricerca, nel Giappone dell’epoca, di un’identità intellettuale e ‘filosofica’ di fronte all’espansione globalizzante del pensiero di matrice europea-occidentale.