Splendori celesti. L’osservazione del cielo da Galileo alle onde gravitazionali. A cura di Filippo Camerota
Università di Milano, La Statale ilaria.ampollini@unimi.it
Catalogo della mostra (Firenze, Museo Galileo/Complesso di Santa Maria Novella, ex dormitorio. 16 dicembre 2023 – 17 marzo 2024), Firenze, Museo Galileo/Livorno, Sillabe, 2024, pp. 127.
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Le celebrazioni per i 400 anni dalla pubblicazione de Il Saggiatore (Roma, 1623), opera fondamentale della produzione galileiana, hanno visto la realizzazione di una serie di iniziative, tra le quali la mostra Splendori celesti. L’osservazione del cielo da Galileo alle onde gravitazionali. Il percorso espositivo, ideato dal Museo Galileo e curato da Filippo Camerota (Direttore Scientifico del Museo), è stato allestito presso l’ex dormitorio di Santa Maria Novella a Firenze. Come ben illustrato da Camerota nell’introduzione al catalogo, la mostra ha voluto raccontare la genesi del celebre testo di Galilei e, dunque, le circostanze che ne determinarono e permisero la stesura, per poi ripercorrerne i contenuti, dalla «favola dei suoni» (Galilei Galileo, Il Saggiatore, Roma, Giacomo Mascardi, 1623, p. 94-96) alle «sensate esperienze» (Galilei Galileo, Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, 1615) e gettare infine uno sguardo alla contemporaneità, laddove è possibile ravvisare le tracce dell’eredità galileiana.
Il Saggiatore, come è noto, nacque in seguito a una disputa tra Galilei e il gesuita Orazio Grassi circa la natura delle comete e i sistemi del mondo, provocata dal passaggio di tre «stelle chiomate» (come le definì Aristotele nella Meteorologia) tra il 1618 e il 1619. La trattazione, tuttavia, assunse il ruolo di vero e proprio manifesto filosofico, nel quale Galilei, con il sostegno dell’Accademia dei Lincei e il tacito apprezzamento del neo-eletto Papa Urbano VIII, ebbe a descrivere le coordinate epistemologiche della sua indagine fisico-matematica sui fenomeni terrestri e celesti. La «bilancia da saggiatori» diveniva così lo strumento da preferire e contrapporre alla grossolana Libra del Grassi, in virtù della sua precisione che permetteva di ponderare le cose in modo «esquisit[o] e giust[o]» (Galilei, 1623, frontespizio).
Gli «splendori celesti», ovvero le comete nelle parole degli accademici lincei, fanno da fil rouge a un percorso che conduce il visitatore non solo attraverso le articolate argomentazioni avanzate da Galilei, al fine di confutare una per una le posizioni del Grassi, ma anche attraverso immagini, strumenti e metodi che nei secoli hanno caratterizzato l’osservazione delle comete e dell’Universo.
Quello che qui interessa sottolineare è come l’allestimento della mostra abbia saputo creare un raffinato e fecondo dialogo tra l’ampio corpus di fonti d’archivio e le installazioni interattive e immersive. In quest’ottica, ci sono almeno tre elementi su cui credo valga la pena soffermarsi. Innanzitutto, il luogo della mostra, uno dei magnifici ambienti che compongono l’ex convento del complesso di Santa Maria Novella. Lo spazio adibito all’esposizione è stato quello del dormitorio, un’ampia sala a tre navate che ha permesso un’adeguata suddivisione delle aree tematiche, riservando così a ogni capitolo la giusta rilevanza grazie a sezioni ben distinte; d’altro canto l’imponenza e la bellezza dell’impianto architettonico hanno fornito una cornice di forte impatto, che coinvolge il visitatore fin dai primi passi dopo la soglia.
Un secondo aspetto da considerare è l’intreccio continuo tra fonti scritte e fonti visuali e materiali, intreccio che ha conferito al racconto una concretezza di efficacia divulgativa (gli accadimenti, i concetti, gli attori sono resi più docili alla fruizione e alla memorizzazione), oltre che una piacevolezza e raffinatezza estetica certo non fini a se stesse. Nel suo insieme, l’esposizione ha senza dubbio avuto il merito di mostrare, una volta di più e anche agli occhi più inesperti, la centralità del legame tra scienza e arte, tra indagine scientifica e cultura visuale, tra conoscenza e rappresentazione. Un terzo aspetto (dal mio punto di vista, il più rilevante) è infine quello del ricorso a installazioni di tipo immersivo. È chiaro che il concetto di immersività può essere declinato in svariati modi, alcuni più appropriati di altri e oggi il termine immersivo è usato e abusato in riferimento a molte pratiche espositive. Nel caso di Splendori celesti, il visitatore ha più volte la sensazione di essere effettivamente immerso nella rappresentazione del cosmo e dei suoi fenomeni, a partire dall’installazione che ha come protagoniste le meravigliose tele di Donato Creti. La serie delle Osservazioni Astronomiche (1711), conservata presso i Musei Vaticani, si compone di otto pannelli di 53 x 35 cm: nel percorso espositivo, sono stati proiettati con dimensioni sensibilmente aumentate e utilizzati in apertura di una serie di immagini messe in movimento dal passaggio del visitatore. In questo modo, come scritto da Camerota, il visitatore «si trasforma virtualmente in un telescopio capace di ingrandire i corpi celesti così come li vedeva Galileo» (p. 22). Immersiva anche l’installazione di Stefano Rovai, in cui «le parole della scienza sono proiettate ovunque, si rincorrono sulle pareti e sul pavimento, incrociandosi, ingrandendosi o rimpicciolendosi, creando una suggestiva animazione di lettere e frasi scelte tra i passi più belli della prosa del Saggiatore» (p. 23). Va poi necessariamente menzionata l’installazione a cura di Studio camerAnebbia: una proiezione a tutta parete, in fondo alla navata centrale, navigabile tramite un apposito touch screen. Il visitatore è chiamato ad immergersi in una galleria di forte suggestione, in cui si susseguono fonti d’archivio di diverso tipo, corredate da contenuti didascalici pop-up che ne illustrano le coordinate.
Un capitolo a parte meritano infine gli ultimi due nuclei tematici della mostra, Oltre il visibile: l’esplorazione dello spazio profondo e Il cielo come opera d’arte: la dimensione estetica dell’osservazione astronomica, entrambi uno sguardo sullo studio e sulle rappresentazioni del cosmo nella contemporaneità. Oltre il visibile racconta lo scarto prodotto nella storia dell’astronomia dall’utilizzo di telescopi che captano segnali che vanno ben al di là dello spettro della luce visibile: infrarosso, onde radio, raggi gamma sono messaggeri che ci restituiscono immagini complementari sull’evoluzione dell’Universo e dei corpi celesti. La conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali, predette da Einstein, ha poi di recente aperto la strada a nuove possibilità: potenti rilevatori interferometrici frutto di collaborazioni internazionali (gli esempi più noti sono il LIGO negli Stati Uniti e il VIRGO in Italia) ci permettono di ‘ascoltare’ queste onde e di studiare l’eco di fenomeni sempre più remoti. Ciò «significa aver acquisito, come Galileo con il suo cannocchiale, un nuovo senso per esplorare e sondare il cosmo intorno a noi» (p. 106).
Il cielo come opera d’arte chiude l’articolato percorso espositivo con una selezione di opere architettonico-artistiche ascrivibili alla corrente degli earthworks, installazioni situate in paesaggi isolati o desertici, che incorporano i fenomeni atmosferici e celesti al loro interno, divenendo dei ponti tra terra e cielo. La mostra offre così un nuovo cambio di prospettiva e nello stesso tempo chiude il cerchio con le Osservazioni astronomiche del Creti, lasciando al visitatore il compito di immaginare se e come le frontiere aperte dall’astronomia multimessaggera arriveranno non solo a offrire una nuova visione del Cosmo, ma anche a ridisegnare i confini delle sue rappresentazioni estetiche.
Alcuni dei contenuti della mostra e del catalogo, sono disponibili sul sito dedicato.