N.1 2024 - Scientia | Giugno 2024

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Lidio Cipriani (1892-1962)

Lucas Orlando Iannuzzi

Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’ lucas.iannuzzi@uniurb.it

Received 02/11/2023 | Accepted 03/11/2023 |Published online 10/06/2024 

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Lidio Cipriani (1892-1962) è nato a Bagno a Ripoli (FI), il 17 marzo 1892. Dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare nel 1910, iniziò a insegnare a Firenze e nei comuni circostanti. Volontario durante la Prima guerra mondiale, svolse il servizio militare tra il 1915 e il 1919. Al rientro riprese gli studi, ottenendo il diploma del corso di perfezionamento per i licenziati delle scuole normali, presso il Reale Istituto di studi superiori di Firenze nel gennaio del 1920. Proseguì gli studi all’università, laureandosi in Antropologia con una tesi sulla rotula umana completata nel gennaio 1923 sotto la guida di Aldobrandino Mochi. Effettuò poi diversi soggiorni in laboratori e università europee, come nel 1924 presso il laboratorio di Antropologia del Muséum national d’Histoire Naturelle di Parigi e nel 1925 presso il College of Surgeons dell’University College di Londra. Nel 1923 era anche stato nominato assistente volontario presso l’Istituto di Antropologia, Etnologia e Paletnologia fiorentino e il suo museo, e fu confermato aiuto nel dicembre del 1926. Nello stesso anno sostenne a Roma le prove per l’ottenimento della libera docenza in Antropologia [Cavarocchi, 2000]. Il ministero dell’Educazione nazionale gli conferì per decreto ministeriale del 15 febbraio 1927 l’abilitazione alla libera docenza in Antropologia e lo confermò definitivamente il 31 dicembre 1932.

Durante la sua carriera Cipriani viaggiò molto, in particolare tra 1927 e 1955 realizzò numerosi viaggi di studio che lo portarono in giro per il mondo. La sua carriera prese avvio quando il regime fascista intensificò il proprio interesse per territori da conquistare in Africa. Proseguendo l’opera di esplorazione condotta dai ‘pionieri’ italiani in Africa alla fine dell’Ottocento, scienziati come Cipriani furono favoriti all’inizio del ventennio dal regime per condurre ricerche sul campo, in una prospettiva di espansione economica e militare assecondata dalla scienza. La versatilità professionale di Cipriani si evidenzia fin dalla sua prima missione nel 1927, quando si unì all’esploratore Attilio Gatti (1896-1969) per una spedizione nelle colonie britanniche del Zululand, del Transvaal e del Bechuanaland in Sudafrica, ove condusse studi antropometrici sugli Zulu e partecipò alle riprese cinematografiche di uno degli ultimi film muti italiani, Siliva Zulu, girato in Zululand e diretto da Gatti.

Tornato in Italia nel novembre del 1927, ripartì tra il novembre 1928 e il maggio del 1930 per unirsi a un’altra spedizione sempre organizzata da Gatti, inizialmente nella regione del Kafue (Zambia) e, successivamente, nell’area delle antiche rovine della Rhodesia (Zimbabwe). Infine, condusse uno studio sulle popolazioni Baila e Batonga. In seguito a una disputa con Gatti, organizzò autonomamente un terzo viaggio in Africa tra il giugno e il dicembre del 1930. Il percorso si svolse tra l'attuale Namibia, il Botswana e il Sud Africa, vicino al deserto del Kalahari, dove Cipriani studiò i ‘Boscimani’ (San) e gli ‘Ottentotti’ (Khoi). Proseguì poi nel Congo per osservare la vita delle popolazioni residenti lungo il fiume. Prima di arrivare nella regione dell’Uele, nel nord del Congo Belga (attuale Repubblica Democratica del Congo), dove s’interessò alle popolazioni pigmee Mbuti delle foreste dell’Ituri. Durante questo viaggio, contrasse la malaria e fu costretto a dirigersi a Dar-es-Salaam. Ripartì poi in direzione dell'Uganda attraverso il lago Victoria, sbarcando a Kampala. Successivamente lasciò l’Africa per l’Italia dal porto di Alessandria.

Le osservazioni, le considerazioni e i racconti di queste prime missioni africane furono raccolti in un primo volume pubblicato da Bemporad nel 1932, In Africa dal Capo al Cairo. La voluminosa opera di oltre 600 pagine riassumeva, in chiave divulgativa, i primi tre viaggi africani, adottando uno stile letterario tipico dell'esotismo dei racconti degli esploratori dell'Ottocento. Abbondantemente illustrato dalle fotografie dell'antropologo, il volume era anche il luogo di un reinvestimento visuale variegato. Cipriani vi raggruppò ricordi di viaggio, illustrazioni da un tono esotizzante alle immagini di carattere scientifico (le pose antropometriche fronte/profilo dei ‘tipi africani’). A volte l’apparato visuale includeva anche una messa in scena dell’antropologo stesso, che non esitava a raffigurarvisi – al lavoro – mostrando la sua metodologia in loco.

Questo volume rappresenta anche il primo luogo in cui furono espresse senza ambiguità considerazioni razziali: Cipriani sviluppa appieno la sua teoria del degrado somato-psichico africano, intrisa di razzismo biologico. Le regressioni sarebbero risultate dal «miscuglio di tipi inferiori e superiori nel continente» [Cipriani, 1932, p. 483, 546 e 601]. Cipriani, giustificando le sue posizioni con le sue osservazioni, sosteneva che tutte le popolazioni africane erano coinvolte in questo fenomeno regressivo e dovevano cedere il passo alle ambizioni coloniali del regime di Mussolini. Egli avanzava inoltre una serie di proposte irrevocabili riguardanti la necessità di considerare misure legislative per vietare i matrimoni tra coloni italiani e donne autoctone, mettendo in evidenza il pericolo antropologico che tali unioni avrebbero rappresentato. Egli auspicava l'attuazione di una rigorosa politica di separazione tra bianchi e neri, onde evitare qualsiasi contatto ‘innaturale’ tra i coloni, i soldati italiani e le popolazioni locali [Cipriani, 1932, p. 599]. Già dalla fine degli anni ’20 l'antropologo si era quindi fatto promotore di tale teoria che anticipava la legislazione razziale promulgata dal regime nella seconda metà degli anni ’30. Inoltre, entrambe le sue monografie, abbondantemente illustrate, rendono conto della forma mentis dell’antropologo, materializzando visivamente la sua convinzione di questo processo di regresso somato-psichico inarrestabile fra le popolazioni africane [Iannuzzi, 2021; 2022].

Cipriani si inserisce nella corrente di pensiero che, sulla scia degli studi di Bronisław Malinowski (1884-1942), fra gli altri, aveva teorizzato un insieme di pratiche disciplinari che presupponevano la presenza dell’antropologo sul campo. Inoltre, formatosi a Firenze presso l'Istituto di Antropologia fondato da Paolo Mantegazza (1831-1910), Cipriani fece ampio uso della macchina fotografica in viaggio. Seguendo l’esempio degli etnografi e antropologi Lamberto Loria, Paolo Mantegazza, e Stephen Sommier, usò le sue fotografie come elementi complementari alle osservazioni e annotazioni trascritte sul campo.

Le prime spedizioni africane gli consentirono di mettere in pratica le lezioni e le metodologie maturate in ambito fiorentino e di costituirsi un cospicuo primo nucleo di artefatti composto da più di 4000 negativi fotografici, più di un centinaio di calchi facciali in gesso e numerosi reperti etologici ed entomologici così come geologici e archeologici. Questi costituivano le prove dei suoi studi sul campo legittimando di fatto le sue ricerche in loco. Una volta riportati a Firenze, gli artefatti entrarono a fare parte delle collezioni del museo di Antropologia dell’Università, che aveva finanziato diverse missioni di Cipriani. Accostando il proprio nome agli oggetti che andavano ad arricchire le collezioni del museo, Cipriani colse anche l'opportunità di lavorare sulla propria reputazione all'interno dell'istituto di antropologia fiorentino. Così facendo, egli riuscì ad ottenere il sostegno dell’Istituto fiorentino che non esitò negli anni seguenti a facilitare le sue missioni [Iannuzzi, 2021]. Infine, l’antropologo trasse anche vantaggio economico dal materiale, tramite la vendita di riproduzioni delle fotografie e dei calchi a numerose istituzioni scientifiche italiane e straniere.

Cipriani ripartì più volte per l'Africa. Tra il settembre e il dicembre del 1932 studiò le popolazioni Tebu e Tuareg durante una missione nel Fezzan (Libia), che segnava la sua prima visita in una regione coloniale italiana [Labanca, 2011; Proglio, 2016; Volterra e Zinni, 2021]. Tornò in Libia per una seconda missione nei primi mesi del 1933. Parte del materiale raccolto durante queste due missioni – ad esempio i calchi facciali e gli ingrandimenti delle fotografie dei ‘tipi libici’ – fu esposta nella sezione italiana in occasione della Mostra del Sahara tenutasi a Parigi tra il maggio e l’ottobre del 1934 [Loyau, 2017; Piccioni, 2019; Falcucci, 2002].

Tra il settembre 1934 e il maggio del 1935 partecipò ad una missione in Asia, recandosi in India meridionale per poi studiare le popolazioni Vedda nell’isola di Ceylon [Moggi Cecchi, 1990]. Da questa missione portò circa 6000 fotografie. Si arruolò poi per la guerra coloniale condotta in Africa orientale. Mobilitato nel 1936 in Somalia, venne ferito e tornò in Italia nel maggio dello stesso anno. Nel 1937 fece parte della prima missione della Reale Accademia d'Italia, guidata dal geografo e accademico d’Italia Giotto Dainelli Dolfi (1878-1968) in Africa Orientale Italiana. Fu incaricato di studiare le popolazioni del lago Tana (Etiopia). Effettuò due altri viaggi nel corno d’Africa, in Eritrea al nord della città di Keren (Sanhit) fra il dicembre del 1937 e il marzo del 1938 per conto della R. Accademia d’Italia e del Centro studi coloniali di Firenze. Tra il dicembre del 1938 e l’aprile del 1939 si recò nell’Etiopia occidentale sempre finanziato dalla R. Accademia d’Italia e dalla Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare di Napoli, per condurre uno studio sulle popolazioni Galla e Sidama. Degli 8000 negativi ricavati da questi viaggi in A.O.I. Cipriani effettuò una selezione raccolta in sette album fotografici di circa 100 fotografie l’uno, conservati presso l'Archivio fotografico toscano di Prato.

Durante questi stessi anni Cipriani giunse ai vertici dell’Istituto di antropologia fiorentino. Nel 1937, alla morte del collega Nello Puccioni (1881-1937), Cipriani fu nominato direttore incaricato del Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze. Nel contempo, la sua carriera divenne sempre più legata alla vita politica. Nell’estate del 1938 firmò il Manifesto degli scienziati razzisti (ora noto come Manifesto della razza). Fu una delle figure di spicco della rivista di propaganda La Difesa della razza fondata da Telesio Interlandi (1894-1965), il cui primo numero fu pubblicato all’indomani del famigerato manifesto nell’agosto del 1938 [Cassata, 2008, p. 393]. Cipriani iniziò una collaborazione con diversi uffici impegnati nella politica razziale avviata nelle colonie e nella sua propaganda. Arricchì regolarmente la fototeca razziale dell’Ufficio studi del problema della razza (Ufficio razza) presso il gabinetto del Ministero della Cultura Popolare con le proprie riproduzioni fotografiche. Collaborò inoltre con il centro studi per l’Africa Orientale Italiana della Reale Accademia d’Italia, l’Istituto di studi coloniali di Firenze e la Mostra Triennale per le Terre d’Oltremare di Napoli. Scrisse anche numerosi articoli divulgativi su questioni coloniali e razziali per Gerarchia, L’Azione Coloniale e il Corriere della Sera.

Vicino all’antropologo Guido Landra, che su richiesta di Mussolini aveva messo per iscritto i dieci punti del Manifesto della razza, Cipriani divenne una delle personalità scientifiche più prominenti del regime, godendo di importanti sostegni politici e finanziamenti per realizzare le sue missioni in Africa, ma soprattutto per produrre numerosi artefatti (fotografie e calchi facciali) che costruivano l'immagine dell’alterità africana condannata, su cui il fascismo fondava il proprio apparato teorico razzista. Quando iniziò la campagna razziale del regime, questo materiale visivo, facilmente riproducibile, fu utilizzato massicciamente per promuovere tra le masse italiane le tematiche coloniali e, soprattutto, diffondere una ‘coscienza di razza’. Questo materiale svolgeva un ruolo cruciale nel tentativo di spiegare le gerarchie razziali, focalizzandosi sui tratti somatici africani ritenuti inferiori evidenziati dalle maschere facciali (i calchi) e dai ritratti fotografici antropometrici di Cipriani associati ai suoi scritti.

Nel 1940, a seguito di un’indagine richiesta dal Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, relativa ai finanziamenti percepiti dall’Istituto di antropologia fiorentino, Cipriani venne accusato di malversazione e perse i suoi incarichi. L’ispezione aveva evidenziato alcune anomalie, e in particolare gli si imputò di avere venduto privatamente alcuni dei calchi facciali realizzati durante missioni finanziate da enti pubblici. Venne altresì allontanato per indegnità dai circoli scientifici della città. Isolato, riuscì a sostenersi grazie agli introiti derivanti dalla vendita dei suoi libri e alla pubblicazione di alcuni articoli. Tuttavia, mantenne alcuni contatti con l’ambiente accademico fiorentino, come testimoniano la sua partecipazione al volume Le razze e i popoli della terra di Renato Biasutti (1878-1965) e la nutrita corrispondenza con il rettore dell’Università degli Studi di Firenze Arrigo Serpieri.

Durante il secondo conflitto mondiale fu mobilitato a Creta. Per tutta la durata del suo servizio militare sull’isola (maggio 1942-ottobre 1944) condusse ricerche sulle popolazioni locali allo scopo di scrivere un opuscolo sulle origini mediterranee della civiltà europea. A lungo si è creduto che dopo l'armistizio di Cassibile (3 settembre 1943) Cipriani fosse stato fatto prigioniero; diverse lettere confermano invece che collaborò da subito con le truppe tedesche e che rimase quindi libero durante tutta la sua permanenza sull’isola. La storiografia ha poi documentato che collaborò con i nazisti a Creta [Corpi, 2014] aderendo alla Repubblica Sociale Italiana al suo ritorno in Italia nel 1944 [Cavarocchi, 2000; Raspanti, 2008].

Alla fine della guerra nel 1945, fu subito chiamato a rispondere delle sue responsabilità politiche e ideologiche nella campagna razziale del regime fascista, per aver firmato il Manifesto della razza eppure per ‘aiuto al nemico’ durante la Repubblica Sociale Italiana. Venne quindi incarcerato a Milano in attesa del suo processo. Si difese spiegando che il suo nome era stato incluso fra i firmatari a sua insaputa, e che non aveva denunciato il fatto per evitare la rovina. Come molti altri che si erano macchiati di collaborazione, il processo di Cipriani si concluse con un non luogo a procedere.

Dopo il processo si trasferì a Viareggio e riprese la passione che aveva coltivato fin dalla gioventù: lo studio del comportamento degli animali e la sua teoria della metapsichica, ovvero della comunicazione non verbale fra le specie. Nel 1949 fu incaricato dal governo indiano e dall’Indian Museum di Calcutta di avviare una serie di osservazioni sulle popolazioni delle isole Andamane, in particolare gli Onge della Piccola Andaman. Nel 1949 partì per Calcutta, dove doveva risiedere quasi un anno per preparare la sua permanenza sulle isole Andamane. Il primo viaggio si svolse tra il gennaio e il marzo del 1951; effettuò altri tre viaggi tra il febbraio e il marzo del 1952 e del 1953, e tra il febbraio e l’aprile del 1954. Moggi Cecchi riferisce che i risultati delle sue ricerche furono pubblicati già nel 1954 su alcune riviste indiane. Nonostante il desiderio di Cipriani di continuare la ricerca, la sua collaborazione con l’Indian Museum di Calcutta cadde «a causa dell’impostazione scientifica dei suoi studi» intrisa di connotazioni razziste [Cavarocchi, 2000]. Costretto a interrompere lo studio delle popolazioni delle isole Andamane, si recò un’ultima volta in India tra il settembre del 1954 e il luglio del 1955. Le osservazioni di Cipriani furono raccolte in una monografia in inglese pubblicata postuma nel 1966 [Cipriani, 1966]. Diverse recensioni prodotte nel mondo accademico anglosassone all'epoca della pubblicazione [Gardner, 1967; Murray, 1968] rilevano che il metodo di Cipriani «per deduzione, in riferimento a resti paleolitici in altre parti del mondo, è un fossile teorico» [Needham, 1966] che si basava «su una scarsa descrizione della cultura materiale degli abitanti delle isole» [Orans, 1968].

Tornato in Italia, Cipriani si stabilì a Firenze e negli ultimi anni della sua vita tenne diverse conferenze ma i suoi discorsi furono spesso criticati e interrotti da oppositori che lo accusavano di aver avuto simpatie fasciste. Nel novembre del 1961, subì un primo intervento chirurgico allo stomaco che lo indebolì considerevolmente. Continuò comunque a scrivere nei suoi taccuini. Meno di un anno dopo fu nuovamente operato, e morì a causa di complicazioni post-operatorie l'8 ottobre 1962.

Archivi

Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, Gab., b. 151, fascicolo Cipriani.

Archivio Lidio Cipriani (c/o Jacopo Moggi Cecchi, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Firenze).

Archivio Fotografico Toscano di Prato: fondo Cipriani.

Archivio Storico dell’Università degli Studi di Firenze: fondo Lidio Cipriani.

Archivio Storico della Società geografica italiana, busta 22-C8, fasc. 642, “Corrispondenza Dainelli-Cipriani L., 1932 gen. 27 - 1961 gen. 7”.

Archivio Storico Giunti Editore: fondo Bemporad, fasc. Cipriani Lidio (22 marzo 1931-20 luglio 1961).

Fototeca del Museo di Antropologia, Sistema Museale di Ateneo, Università degli Studi di Firenze: raccolta Cipriani.

Opere

1931 = Tre anni di viaggi e di ricerche scientifiche in Africa, Roma, R. Società geografica italiana, 1931.

1932 = Considerazioni sopra il passato e l'avvenire delle popolazioni africane, Firenze, Bemporad e Figlio, 1932.

1932 = In Africa dal Capo al Cairo, Firenze, Bemporad, 1932.

1934 = Per la fotografia a servizio della scienza, «Rivista di Biologia», XIII, 1934, 2, p. 35–38, ripubblicato in «AFT Rivista di Storia e Fotografia», 11 (1990), p. 19–20.

1936 = Un assurdo etnico: l’impero etiopico, Firenze, Bemporad & F., 1936.

1938 = Razze africane e civiltà dell’Europa, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1938.

1940 = Missione di Studio al Lago Tana - Ricerche antropologiche sulle genti, Roma, R. Accademia d’Italia, Vol. IV, 1940

1966 = The Andaman Islanders, New York, F.A. Praeger, 1966.