N.2 2024 - Scientia | Dicembre 2024

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Le orchidee di Ulisse Aldrovandi: interesse scientifico ed estetico per queste piante nella prima età moderna

Fabrizio Buldrini

Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università di Bologna fabrizio.buldrini@unibo.it

Michele Lussu

Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università di Bologna

Umberto Mossetti

Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università di Bologna Sistema Museale di Ateneo, Università di Bologna

Juri Nascimbene

Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università di Bologna

Scientia, vol. II, n. 2 (dicembre 2024)
ISSN: 2974-9433
Received 18/06/2024 | Accepted 01/07/2024 | Published online

Si ringraziano per la preziosa collaborazione, gli spunti, l’aiuto prestato nelle identificazioni delle piante raffigurate nelle tavole dipinte: Adriana Paolini (Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università di Trento), Giulia Cò e Daniel Klein (Società Felsinea di Orchidofilia), Alessandro Alessandrini (già Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna), Giovanna Pezzi (Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Università di Bologna).

Abstract

Alla famiglia delle Orchidacee sono da sempre abbinati i concetti di bellezza, sensualità e un certo qual esotismo, per la fioritura vistosa, dalle forme non di rado stravaganti; dal punto di vista scientifico, trattasi di specie caratterizzate sovente da una stretta relazione con le specie impollinatrici. Tutto ciò rende le orchidee molto interessanti per vari aspetti: al loro fascino non sfuggirono i botanici rinascimentali, che dedicarono a questa famiglia un’attenzione probabilmente maggiore rispetto ad altre meno appariscenti. Nel presente contributo si analizza, attraverso la prospettiva orchidologica, l’opera di esplorazione floristica del territorio felsineo compiuta da Ulisse Aldrovandi intorno alla metà del Cinquecento: egli raccolse e preservò nel suo erbario 20 specie diverse d’orchidee spontanee nel Bolognese, ossia il 30% circa delle specie oggi censite per questa zona, a testimonianza della cura con cui ne indagò la flora e dell’interesse verso tale famiglia, largamente e splendidamente illustrata nelle sue tavole dipinte.

English abstract

The Orchidaceae family is often associated to concepts like beauty, sensuality and a certain exotism, for the showy flowering, not rarely with unusual forms. From a scientific viewpoint, they are species characterised by a close relation with pollinator species. For these reasons, orchids are regarded as very interesting plants: Renaissance botanists were fascinated by them and probably gave this family more attention than other, less showy angiosperms. In this article, we analyse through an orchidological perspective the floristic exploration of the Bologna territory performed by Ulisse Aldrovandi in mid-15th century: he collected and preserved in his herbarium 20 different orchid species, i.e. about 30% of the species currently present in this area. This testifies the accuracy with which he investigated the Bolognese flora and the interest for this family, which is largely and splendidly illustrated in his watercolour plates.

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Introduzione

Gli erbari: nascita e primi sviluppi degli studi floristici

Un erbario è un insieme ordinato di campioni di piante, essiccati, pressati e montati su fogli di carta (le dimensioni del foglio si aggirano in media sui 25×40 cm), provvisti di cartellini recanti i dati di raccolta (nome di chi raccolse, data, luogo, ambiente, quota sul mare, tipo di substrato ecc.); l’ordinamento dell’erbario può seguire un criterio alfabetico, secondo il nome scientifico delle specie, o un criterio sistematico, su base filogenetica. Un campione d’erbario è dunque la prova tangibile della presenza di una certa specie nello spazio e nel tempo, ciò che rende tali collezioni veri e propri archivi della biodiversità vegetale, da cui trarre informazioni sulla natura e identità delle specie, innanzitutto, ma anche sull’evoluzione nei secoli del clima, dell’ambiente e del paesaggio (un fatto quest’ultimo che è andato affermandosi solo in anni recenti). L’uso scientifico degli erbari vide la luce a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento [von Engelhardt, 2012] [Cristofolini, Nepi 2021] [Baldini et al., 2022], per rispondere alla domanda «che specie è questa?», in un’epoca in cui il patrimonio di conoscenze tramandato dall’antichità greco-romana era rimesso in discussione, analizzato al lume delle scoperte e dei progressi man mano avvenuti e dell’esperienza diretta dei singoli studiosi. È risaputo infatti che fu Luca Ghini (1490-1556), professore di botanica a Bologna e poi a Pisa, colui che per primo adottò l’uso di mostrare e distribuire campioni essiccati di piante ai suoi allievi durante le lezioni [Meyer, 1854-1857] [Camus, 1895] [De Toni, 1907a] [Chiarugi, 1957], facendo così dell’erbario non più il testo illustrato che presenta e descrive i semplici di natura vegetale fino allora inteso, ma la raccolta di piante secche che intendiamo oggi [von Engelhardt, 2012]. Al tempo, la botanica esisteva solo sotto forma di disciplina ausiliaria della medicina e si affidava largamente a testi medioevali, quasi sempre privi di descrizioni precise delle caratteristiche delle singole specie e le cui illustrazioni, oltremodo stilizzate e simboliche, servivano molto più a ricordare le vere o presunte virtù medicinali che l’aspetto reale della pianta [Viola, 1978] [Moggi, 2012a]. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente, molti studiosi bizantini emigrarono in Europa occidentale ed entrarono in contatto con scienziati dei Paesi neolatini o germanici, sicché costoro poterono riscoprire varie opere antiche di medicina nella loro lingua d’origine (il greco, di cui s’era persa la conoscenza in queste zone del Vecchio Continente). Per le inevitabili differenze fra due tradizioni culturali che da un migliaio d’anni avevano preso strade diverse, nacquero ben presto polemiche e dispute sulla vera natura delle piante da somministrare nei farmaci, dato che gli autori fino allora seguiti in Europa occidentale (in primis Dioscoride e Plinio il Vecchio), copiati svariate volte, nel corso del tempo avevano subito errori di trascrizione e interpretazioni anche distorte; per giunta, basandosi anch’essi su opere greche, potevano contenere imprecisioni individuabili solo dall’analisi delle fonti d’origine [Cristofolini, 2019]. Occorreva mettere ordine nella congerie d’idee personali sulla vera natura delle piante citate dagli Antichi, il che poteva compiersi solo grazie a un’indagine sulle piante vere, non su testi e illustrazioni in troppi casi carenti d’informazioni utili a un corretto riconoscimento [Flannery, 2023]. Per giunta, l’arrivo dall’America di specie nuove imponeva di trovar loro un posto nella classificazione del mondo naturale (aristotelica, ovviamente), ottenibile solo a prezzo di forzature più o meno palesi delle idee allora vigenti sulle piante di Teofrasto o Dioscoride. Gli erbari, in quanto campionario delle specie note (sia pure nel quadro delle inevitabili differenze di lettura fra studiosi diversi), si ponevano come termine di paragone per un’identificazione certa, stante l’uso professionale che se ne faceva: l’origine della pratica di seccare piante per ragioni di studio va cercata, con ogni probabilità, nell’area di Bologna e Ferrara, grazie alla presenza del Ghini e di numerosi scienziati ferraresi coi quali molti studiosi d’Europa erano in contatto [Vicentini et al., 2020] [Cristofolini, 2024]. Scrisse infatti in proposito Amato Lusitano (1558): «Sunt enim Ferrarienses, coelesti quodam influxu favente, medici doctissimi, ac rerum naturalium cognoscendarum diligentissimi».

Il lavoro di ricerca delle piante spontanee e il rinnovato interesse per le piante stesse come oggetto di studio, grazie anche ai continui apporti di nuove specie dal Nuovo Mondo, stimolò un’esplorazione del territorio con occhi diversi, attenti agli aspetti naturali: sempre nel XVI secolo, nasce l’esplorazione floristica del territorio, che nel Seicento culminerà nella pubblicazione delle primissime Flore, ossia cataloghi critici delle specie vegetali rinvenute in una certa area, muniti d’informazioni su luogo di rinvenimento, altitudine, ambiente di crescita, frequenza, antesi, talvolta anche utilità economica e usi medicinali. A livello europeo, la prima opera di tal genere è probabilmente il Catalogus Plantarum circa Basileam sponte nascentium di Caspar Bauhin, edita nel 1622 [Stöcklin, 2022]; secondo altri sarebbe la Sylva Hercynia di Johannes Thal, scritta nel 1577, ma uscita postuma [Camerarius, 1588] [Jacobs, 1894]; a livello italiano, la prima Flora nazionale è contenuta nell’opera di Ulisse Aldrovandi, che fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Cinquecento percorse erborizzando varie aree della Penisola e si fece spedire campioni da suoi colleghi e collaboratori, giungendo a listare qualcosa come 1200 specie diverse (circa 1/7 della flora spontanea oggi nota), il che fa di Aldrovandi a buon diritto il primo botanico italiano [Soldano, 2007]. La prima Flora d’Italia completa, o che per lo meno si pose l’obiettivo dichiarato di fornire un catalogo esaustivo della flora italiana, fu pubblicata da Antonio Bertoloni fra il 1833 e il 1854 (Flora Italica sistens plantas in Italia et in insulis circumstantibus sponte nascentes); poiché egli insegnava a Bologna e, insieme col figlio Giuseppe, esplorò a lungo il territorio felsineo, la provincia di Bologna ebbe l’onore d’essere una delle primissime zone d’Italia di cui fu studiata approfonditamente la flora locale: l’eredità scientifica dei Bertoloni fu raccolta da Girolamo Cocconi, il quale completò l’opera loro aggiungendovi molte osservazioni personali, riassunte nella sua Flora della Provincia di Bologna uscita nel 1883.

Gli erbari cinquecenteschi dell’Università di Bologna

I primi erbari realizzati sono italiani in molti casi, composti da persone in vario modo in contatto col Ghini o che comunque trascorsero alcuni anni in Italia a perfezionare le loro cognizioni (per esempio l’inglese John Falconer, che stette a Ferrara dal 1540-41 al 1547); dei 19 oggi noti a livello europeo ben 9 sono conservati in Italia, di cui 3 all’Erbario dell’Università di Bologna [Baldini et al., 2022] [Cristofolini, 2024]. Di queste raccolte, due sono anonime e contengono poche centinaia di campioni ognuno (erbari detti della Scuola di Aldrovandi e di Bauhin a Bologna [Baldini et al., 2022]); notevole è quello di Ulisse Aldrovandi (1522-1605), un monumentale erbario in 15 volumi, in origine contenente oltre 5000 exsiccata (oggi ne restano 4841), preparato negli anni 1551-1586 [Soldano, 2000] [Soldano, 2001] [Soldano, 2002] [Soldano, 2003] [Soldano, 2004] [Soldano, 2005]. Il suo valore storico e scientifico è inestimabile [St. Lager, 1885] [Moggi, 2012a] [Moggi, 2012b], per la vastità della raccolta, l’antichità, la ricchezza della nomenclatura, la larghezza d’intenti con cui fu concepito e perché, a livello europeo, contiene i più antichi saggi d’erbario di specie di grande importanza alimentare, ornamentale o farmaceutica [Bosi et al., 2017, 2022] [Vicentini et al., 2018, 2020] [Buldrini et al., 2023a], provenienti dalle Americhe (Mirabilis jalapa L., Nicotiana tabacum L., Opuntia ficus-indica (L.) Mill., Solanum lycopersicum L.), dall’Africa, dall’Asia centrale o dall’Estremo Oriente (Aloe vera (L.) Burm. fil., Canna indica L., Diospyros lotus L., Melia azedarach L., Nardostachys jatamansi (D. Don) DC., Senna italica Mill.). Inoltre, cosa ancor più importante se vista al lume d’oggi, le località di provenienza dei campioni sono quasi sempre note, a volte indicate in modo generico («in montibus Helvetiae», «ex montibus Goritiae», «in agro Bononiensi», «Valli di Padusa», «in maritimis Etruriae», «tra Roma e Napoli», «Gallia»), altre volte con una precisione vicina a come si scriverebbe oggigiorno («gran copia ne nasce al Lio appresso il mare a Venegia», «nasce ne l’Alpi di Rio di Lunato fra fissure di duri sassi in luoghi umbrosi», «in una lagunetta dell’acqua stagnante appresso il monastero della Crovara», «presso le mura di Senigallia», «San Vincenzo di Galliera», «Monte delle Formiche», «in Saxo prope Bononiam 20 miliaribus»). La ripartizione geografica delle raccolte induce poi a credere che l’Aldrovandi, almeno nelle zone che meglio conosceva, come Bologna e il suo territorio, abbia percorso e battuto ogni ambiente riconoscibile alla sua epoca [Buldrini et al., 2023a] [Buldrini et al., 2023b]: vi sono piante raccolte nelle paludi della bassa pianura, lungo il fiume Reno, nei campi entro le mura urbane e nelle campagne poco lontane dalla città, sui Colli bolognesi, nella fascia pedemontana sino a Monteveglio, in varie località della collina, in zone montane intorno a Porretta e a Castiglione de’ Pepoli, sul Corno alle Scale e i monti vicini. È lecito quindi usare questi campioni di quasi mezzo migliaio d’anni fa come se fossero stati presi in epoca attuale, un vero e proprio unicum nel non vasto universo degli erbari rinascimentali.

Nell’Erbario Aldrovandi esistono 1899 exsiccata raccolti in provincia di Bologna; 1757 sono identificabili a livello di specie, equivalenti a 980 specie intese in senso moderno: un numero impressionante se teniamo conto che nella seconda metà del Cinquecento i concetti di flora ed esplorazione floristica del territorio erano visti e compresi in modo del tutto diverso da oggi [Berrens, 2019] [Buldrini et al., 2023b], il che fa della raccolta aldrovandiana la prima flora nota (ancorché non pubblicata come tale) del territorio bolognese e italiano e una delle primissime anche a livello europeo.

Le orchidee

Caratteri generali

Famiglia di piante vascolari fra le più ampie oggi conosciute, a distribuzione cosmopolita (benché la maggior parte delle specie sia in realtà originaria delle regioni tropicali ed equatoriali), le Orchidacee contano oggi 25-30.000 entità tassonomiche selvatiche, le cui dimensioni variano da pochi millimetri, come in alcuni Bulbophyllum o Platystele, a oltre 13 m, ad esempio in Vanilla planifolia Jacks. ex Andrews. Dal punto di vista ecologico, si caratterizzano per una stretta relazione specie-insetto pronubo, che rende l’impollinazione un passaggio molto delicato: se scompare l’insetto pronubo si estingue anche la specie di orchidea in questione (alle nostre latitudini gl’impollinatori sono di solito Imenotteri, Lepidotteri o Ditteri, ma anche Coleotteri). Altra peculiarità della famiglia è la simbiosi obbligata, per micorriza endotrofica, necessaria alla germinazione del seme, che alla dispersione è privo di sostanze nutritive e con un embrione ancora poco sviluppato. Sul piano estetico, molte specie (anche quelle tipiche delle medie latitudini) presentano infiorescenze vistose e variopinte e i singoli fiori hanno forme inconsuete, che talvolta ricordano insetti o mammiferi. Infatti, sebbene la maggior parte delle orchidee attragga gl’impollinatori con una ricompensa (per esempio il nettare, od offrendo rifugio dalle intemperie, come in Serapias), circa un terzo di esse utilizza l’inganno. Le strategie più comuni sono basate sull’inganno sessuale e sull’inganno alimentare. Nel primo caso, le orchidee hanno forme e feromoni che imitano la femmina di una determinata specie d’insetto, invogliando il maschio a una copula; nel secondo caso, invece, enfatizzano i tratti fiorali, come lo sperone, che indicano agl’insetti la presenza di nettare: la grande variabilità di colore di queste specie evita che l’insetto associ la delusione alla forma e al profumo del fiore [Cozzolino, Widmer, 2005].

La peculiare variabilità dei fiori è ciò che da sempre ha calamitato l’attenzione e l’interesse dell’uomo verso questa famiglia: nell’arte e nella cultura popolare, le orchidee sono state e sono tuttora simbolo di bellezza e sensualità, di una fioritura dal tono esotico. Non mancano i casi, infatti, in cui i singoli fiori delle orchidee ricordano, per certi versi, la forma dell’apparato genitale maschile o femminile: forse proprio perciò gli efebi ateniesi cantavano le lodi agli dèi con la fronte inghirlandata d’orchidee [Cattabiani, 1998]. Un simbolismo simile ritorna anche nell’antica Cina, ove le orchidee, durante le feste di primavera, avevano il ruolo d’allontanare gl’influssi nefasti, la sterilità in particolar modo. Dioscoride stesso consigliava di consumarne i tuberi per migliorare la fertilità e nel Medio Evo le orchidee erano un ingrediente usuale dei filtri d’amore [Cattabiani, 1998]. Ancora nel Cinquecento, Pietro Andrea Mattioli ne citava le virtù afrodisiache decantate da Dioscoride [Mattioli, 1568, p. 932-936], benché prendendo implicitamente le distanze dalle credenze antiche, talché nella tavola sinottica dei rimedi ai diversi mali del corpo («Tavola delli rimedi di tutti i morbi del corpo humano, cavati diligentemente dalli semplici, di cui scrisse Dioscoride: Et dalli commenti, & discorsi del Matthiolo») posta in apertura al volume, le «radici di testicolo di cane» sono elencate fra i rimedi proposti «a provocare il coito» dal medico greco, ma non fra quelli suggeriti da lui.

Le orchidee nell’erbario di Ulisse Aldrovandi

Al fascino esercitato dalle orchidee su artisti, scienziati e comuni cittadini non sfuggì Aldrovandi, che nel suo erbario inserì 61 campioni di questa famiglia, quasi tutti raccolti in Italia, per complessive 27 specie intese in senso moderno; 20 di esse provengono dal territorio felsineo, nel quale sono ancora presenti (la nomenclatura segue Pignatti et al., 2017-2019):

Anacamptis morio (L.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Cephalanthera rubra (L.) Rich.

Dactylorhiza maculata (L.) Soó

Dactylorhiza sambucina (L.) Soó

Epipactis helleborine (L.) Crantz

Gymnadenia conopsea (L.) R. Br.

Himantoglossum adriaticum H. Baumann

Listera ovata (L.) R. Br.

Neotinea tridentata (Scop.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Ophrys fusca Link

Ophrys holosericea (Burm. fil.) Greuter

Ophrys sphegodes Mill.

Orchis pallens L.

Orchis provincialis Balb. ex Lam. et DC.

Orchis purpurea Huds.

Orchis simia Lam.

Platanthera bifolia (L.) Rich.

Serapias cfr. lingua L.

Serapias vomeracea (Burm. fil.) Briq.

Spiranthes spiralis (L.) Chevall.

Aggiungiamo poi le specie rinvenute in Trentino e su monte Baldo:

Gymnadenia conopsea (L.) R. Br.

Gymnadenia odoratissima (L.) Rich.

Herminium monorchis (L.) R. Br. in W.T. Aiton

Neottia nidus-avis (L.) Rich.

Nigritella rhellicani Teppner et E. Klein

e quelle di provenienza ignota:

Anacamptis pyramidalis (L.) Rich.

Cephalanthera longifolia (L.) Fritsch

Limodorum abortivum (L.) Sw.

Le orchidee nelle tavole dipinte

Le tavole dipinte (tabulae pictae nella dizione aldrovandiana) sono illustrazioni, di grande realismo anche al lume d’oggi, di piante, frutti, animali (in molti casi veri, altre volte fantastici o mitologici), pietre e minerali, opera dei pittori che Aldrovandi manteneva al suo servizio: ricordiamo ad esempio Lorenzo Benini, Giovanni Neri e Cornelius Schwindt, ottimi artisti, ma soprattutto noti per l’opera d’illustrazione scientifica d’altissimo livello che furono in grado di produrre [Montalenti, 1960]. Il bisogno di rappresentare gli oggetti di studio in modo tale da apprezzarne i caratteri, anche quelli minuti, indusse Aldrovandi ad assoldare e mantenere diversi pittori che, sulla base dei campioni da lui stesso procurati, raffigurassero tali oggetti nel modo più preciso possibile, didascalico, senza nulla concedere all’arte e all’interpretazione, ma limitandosi a copiare fedelmente dal vero [Olmi, 1981] [Maiorino et al., 1995a] [Alessandrini, Ceregato, 2007] [Tosi, 2018]. In questo modo, il «microcosmo di natura» di Aldrovandi poteva contenere sia gli esemplari autentici (ancorché essiccati, nel caso delle piante) sia le illustrazioni dal vivo, che mantenevano l’aspetto e i colori naturali (Figg. 1-3), con ovvio beneficio per gli studiosi che avessero voluto consultare il suo materiale per ulteriori indagini o verifiche [Egmond, 2021].

Se le tavole di argomento botanico sono quasi un migliaio [Maiorino et al., 1995b], quelle dedicate alle orchidee sono 34: il dettaglio delle illustrazioni è tale che l’identificazione a livello di specie è quasi sempre possibile. Riportiamo di seguito la lista dei 32 taxa presenti (maggiori dettagli nell’Allegato 1 pubblicato in piattaforma; la nomenclatura segue Pignatti et al., 2017-2019):

 

Anacamptis coriophora (L.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase ssp. fragrans (Pollini) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Anacamptis cfr. laxiflora (Lam.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Anacamptis gr. morio (L.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Anacamptis cfr. palustris (Jacq.) R.M. Bateman, Pridgeon et M.W. Chase

Anacamptis pyramidalis (L.) Rich.

Cephalanthera rubra (L.) Rich.

Cypripedium sp. (due tavole raffiguranti piante diverse, ma non identificabili con certezza)

Dactylorhiza incarnata (L.) Soó

Dactylorhiza maculata (L.) Soó

Dactylorhiza maculata (L.) Soó (cfr. ssp. fuchsii (Druce) Hyl.)

Dactylorhiza sambucina (L.) Soó, a fiore giallo e a fiore violaceo

Epipactis helleborine (L.) Crantz

Gymnadenia conopsea (L.) R. Br.

Gymnadenia odoratissima (L.) Rich.   

Himantoglossum adriaticum H. Baumann

Himantoglossum hircinum (L.) Spreng.

Limodorum abortivum (L.) Sw.

Listera ovata (L.) R. Br.

Neottia nidus-avis (L.) Rich.

Ophrys apifera Huds.

Ophrys bertolonii Moretti

Ophrys holosericea (Burm. fil.) Greuter

Ophrys gr. sphegodes Mill.

Orchis tipo anthropophora (L.) All.

Orchis cfr. militaris L.

Orchis provincialis Balb. ex Lam. et DC.

Orchis purpurea Huds.

Platanthera bifolia (L.) Rich.  

Platanthera chlorantha (Custer) Rchb.

Serapias sp.

Serapias lingua L.

Spiranthes spiralis (L.) Chevall.

 

Come si vede, 19 taxa su 32 sono presenti sia come exsiccata in erbario sia come illustrazione dipinta; i 22 rimanenti (8 presenti solo in erbario, 13 solo nelle tavole dipinte) ampliano il quadro delle orchidee note ad Aldrovandi: se ne desume una conoscenza più o meno definita di circa 40 taxa complessivi, un risultato di tutto rispetto considerata l’epoca. Se prendiamo a paragone alcuni dei più importanti erbari rinascimentali contemporanei dell’Aldrovandi, vediamo ad esempio che nell’Erbario ex Cibo B le orchidee sono 18 [Chiovenda, 1909], nell’Erbario En Tibi 8 [Stefanaki et al., 2018] e nell’Erbario Cesalpino 7 [Caruel, 1858], il che dà bene l’idea dell’ampiezza e profondità dell’indagine floristica compiuta da Aldrovandi rispetto ai pur illustri contemporanei.

Nonostante i preziosissimi dettagli proposti dal naturalista bolognese, i casi in cui non si è potuto determinare la specie non derivano da una sua scarsa precisione, ma sono riconducibili alla variabilità delle orchidee, al loro percorso evolutivo e al loro modo di esplorare l’ambiente circostante. Per esempio, nel volume 4, c. 268r., ultima illustrazione a destra, la struttura del rizotubero, delle foglie e dell’infiorescenza definisce una specie appartenente al genere Dactylorhiza e più specificamente al gruppo maculata, caratterizzato da grandi macule nelle foglie. Questo gruppo è rappresentato in Italia, oltre che dalla sottospecie nominale, anche da D. maculata ssp. savogiensis (D. Tyteca et Gathoye) Kreutz, D. maculata ssp. saccifera (Brongn.) Diklić e D. maculata ssp. fuchsii (Druce) Hyl., di cui non è raro trovare in Emilia-Romagna esemplari con caratteri del labello intermedi fra le tre sottospecie, essendovi in questa regione una sovrapposizione dei loro areali.

Fig. 1 ̶ Anacamptis pyramidalis (L.) Rich.: a) raffigurazione nella tavola dipinta (vol. IV, c. 277r.: Testiculus flore purpureo pyramidali – © Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna. Vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo), b) immagine della pianta dal vero (Comune di Trieste, località Basovizza, area prativa lungo la strada statale. 19 giugno 2005, fot. A. Moro. https://dryades.units.it/cercapiante/index.php, licenza CC BY-SA 4.0)
Fig. 2 ̶ Fig. 2 - Listera ovata (L.) R. Br.: a) raffigurazione nella tavola dipinta (vol. V, c. 289r.: Ophris Dod:, Bifolium alijs, Alisma, Pseudoorchis Bifolium Dod, Plantago aquatilis, Elleborus albus Syl: alijs: – © Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna. Vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo), b) immagine della pianta dal vero (Comune di Serle – BS –, località Calamor. 1 luglio 2004, fot. A. Moro. https://dryades.units.it/cercapiante/index.php, licenza CC BY-SA 4.0)
Fig. 3 - Cephalanthera rubra (L.) Rich.: a) raffigurazione nella tavola dipinta (vol. IX, c. 337r.: Ἄλισμα λεπτόφυλλον πορφυρανθος, Damasonium vel Alisma tenuifolium purpureum – © Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna. Vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo), b) immagine della pianta dal vero (Comune di Serle – BS –, altopiano di Cariadeghe, ai piedi del Monte San Bartolomeo. 1 luglio 2004, fot. A. Moro. https://dryades.units.it/cercapiante/index.php, licenza CC BY-SA 4.0)

Qualche nota sull’evoluzione della nomenclatura

Analizzando la nomenclatura orchidologica cinquecentesca, possiamo distinguere alcune grandi categorie basate su caratteri morfologici comuni, in parte assimilabili ai generi intesi in senso moderno:

Orchis o Cynosorchis o Testiculus o Testiculus canis o Testiculus vulpis: generi Anacamptis, Dactylorhiza (in parte), Neotinea, Ophrys, Orchis, Platanthera, Serapias e Spiranthes, accomunati dall’avere in genere 2 rizotuberi affiancati [Pignatti et al., 2017-2019]; non a caso, un tempo le Anacamptis, Dactylorhiza, Neotinea e Platanthera erano ricomprese in Orchis e le Spiranthes in Ophrys [Linneo, 1753]

Alisma o Damasonium o Elleborine o Epipactis o Sigillum (o Sigillum Salomonis): generi Cephalanthera, Cypripedium ed Epipactis (oggi con sigillo di Salomone s’intende il genere Polygonatum, della famiglia delle Asparagacee: lo stesso nome prendevano le Cephalanthera, i Cypripedium e le Epipactis forse per la somiglianza delle foglie, parallelinervie e di solito ampie, ovato-ellittiche)

Palma Christi o Satyrium basilicum: generi Dactylorhiza (in parte) e Gymnadenia, assimilabili per i rizotuberi ramificati in modo che ricorda le dita di una mano («manina» è infatti uno dei nomi comuni delle Gymnadenia [Penzig, 1924] [Pignatti et al., 2017-2019])

Testiculus hircinus o Tragorchis: genere Himantoglossum

Rhodora od Orobanche o Satyrium: generi Limodorum, Neottia e Nigritella (però Rhodora indica solo i Limodorum)

Ophris o Bifolium o Pseudorchis o Helleborus o Alisma: genere Listera (sia il nome Bifolium, dal significato trasparente, sia Alisma, che richiama le Cephalanthera e le Epipactis, si rifanno ovviamente alle due foglie subopposte, largamente ovate e ottuse, con nervature subparallele [Pignatti et al., 2017-2019]

Satyrium o Triorchis: generi Orchis, Platanthera, Serapias e Spiranthes (però, come s’è visto, Satyrium ha una valenza più vasta e questi generi sono più sovente indicati come Cynosorchis o Testiculus)

Si nota che non vi è congruenza fra l’attuale concetto di genere e quello cinquecentesco: Testiculus indica un’orchidea in senso lato; Satyrium e Orchis hanno quasi lo stesso valore, sebbene con un campo d’applicazione un po’ più stretto; con Alisma o Damasonium s’intendevano le specie con foglie tendenzialmente ampie, ellittiche e parallelinervie; Palma Christi designava quelle con parti ipogee ramificate come le dita di una mano. Dunque, forse sarebbe più giusto ritenere questi nomi rinascimentali come ‘morfogeneri’, dato che si riferiscono a tratti morfologici comuni e di facile individuazione [Franchi, 1997] [Mariotti, 1997] [Sirianni, 2006], sebbene le infiorescenze presentino aspetti non di rado affatto diversi [Pignatti et al., 2017-2019].

Vari nomi, all’apparenza ripetuti, sono la semplice traduzione o traslitterazione del corrispondente latino o greco: ad esempio Kυνὸς ὄρχις/Cynosorchis/Testiculus canis, Ἄλισμα λεπτόφυλλον πορφύρανθος/Alisma tenuifolium purpureum, Ὄρχις ἐχίδνειος/Testiculus viperinus/Testiculo di Vipera. Lo sforzo degli studiosi dell’epoca di far combaciare le categorie degli Antichi con ciò che osservavano è ben evidente nella ricchezza degli attributi di cui i ‘morfogeneri’ sono muniti per distinguere le diverse qualità delle piante ad essi ascritte: prendendo ad esempio i caratteri del fiore, Cephalanthera longifolia e C. rubra (Fig. 3) sono infatti Alisma flore albo e Alisma flore rubro; Anacamptis morio e A. pyramidalis (Fig. 1) sono rispettivamente Kυνοσόρχις πορφύρανθος o Testiculi canis speties flore purpureo e Orchis ornithophoros flore purpureo pyramidali o Testiculus flore purpureo pyramidali; Platanthera bifolia e P. chlorantha sono Testiculus candidus Cordi od Orchis ornithophora flore albo caudicella herbacei coloris e Orchis ornithophora flore et caudicella herbacei coloris. In questo senso, la nomenclatura aldrovandiana è senza dubbio più ricca e complessa di quella dei contemporanei Petrollini, Cesalpino e Mattioli [Mattioli, 1568] [Caruel, 1858] [Chiovenda, 1909], i quali – possiamo ben crederlo – si dibattevano negli stessi problemi d’identificazione delle piante nelle categorie degli Antichi e nel conio di nuove definizioni che mettessero in luce somiglianze e differenze delle piante di nuova scoperta, ma si fermarono a un livello di dettaglio inferiore a quanto si legge in Aldrovandi. D’altra parte, la nomenclatura proposta da questi è sì particolareggiata, ma pure assai complicata dall’abbondanza di sinonimi: lo sforzo enciclopedico di coprire tutte le definizioni possibili per ciascuna pianta è più che evidente. Spesso – per non dire sempre – egli cita i caratteri di foglie e fiori per distinguere specie diverse (in ciò anticipando la prassi dei secoli seguenti, tutt’oggi in vigore), in vari casi producendo polinomii analoghi per stile a quelli seicenteschi di Caspar Bauhin: ad esempio, Dactylorhiza sambucina è Palma Christi minori flore amethystino ad roseum tendente, Gymnadenia conopsea è Palma Christi non maculata hermaphroditica duobus cruribus, Orchis provincialis è Orchis ornitophora folijs maculatis floribus albicantibus.

Caratteri ecologici e ambientali del territorio bolognese nel Rinascimento, attraverso la prospettiva orchidologica

Significato ecologico e ambientale delle specie citate

Per le specie presenti in erbario è stato compiuto un confronto dei luoghi di ritrovamento odierni con quelli indicati da Aldrovandi, così da risalire a un probabile aspetto del paesaggio vegetale della sua epoca, descritto di seguito nei suoi tratti fondamentali.

In linea di massima, le specie di sicura attribuzione al territorio felsineo sono di solito abbastanza comuni, tipiche di prati, pascoli, boschi collinari e submontani [Pignatti et al., 2017-2019]. Quelle ancor oggi viventi nel Bolognese in genere si possono trovare nelle stesse fasce altitudinali in cui le osservava Aldrovandi: ad esempio, Cephalanthera longifolia e C. rubra (Fig. 3), al tempo raccolte nella collina bolognese, anche adesso si rinvengono nei medesimi ambienti; Dactylorhiza sambucina, da lui inserita nel catalogo delle piante del Corno alle Scale, è ancora presente in zona, in linea coi luoghi in cui a tutt’oggi la si può osservare; Epipactis helleborine, che in genere vegeta in boschi di latifoglie su suoli ricchi, anche all’epoca verosimilmente poteva osservarsi in boschi decidui, magari non lontano dalla città stante la citazione per l’«agro bolognese»; di Listera ovata (Fig. 2) egli scrive che «nasce nei nostri colli», ove la si può rinvenire anche ai nostri giorni. Non mancano però alcuni cambiamenti, com’è logico attendersi dato il mezzo migliaio d’anni trascorso: ad esempio Anacamptis morio, che egli indica per l’«agro bolognese», fu verosimilmente rinvenuta sui colli, ov’è tuttora frequente essendo ben adattata ai terreni argillosi collinari; Dactylorhiza maculata, tipica di torbiere e luoghi umidi nella ssp. maculata e d’ambienti forestali e preforestali nella ssp. fuchsii [Pignatti et al., 2017-2019], fu da Aldrovandi riferita all’«agro bolognese», ma oggi la sua presenza in pianura è alquanto improbabile, stanti l’estesa urbanizzazione e la coltivazione intensiva; Orchis simia, propria di prati, pascoli, garighe e macchie, oggi rara in pianura, potrebbe essere stata più frequente anche in questa zona, visto che, sebbene gran parte della Bassa bolognese fosse occupata dalle paludi della Valle Padusa [De la Lande, 1769] [Bondesan, 1990] [Giacomelli, 1988] [Giacomelli, 1997], esistevano comunque zone aperte, legate al vagare e divagare dei fiumi, dal suolo sabbioso e ciottoloso, nelle quali O. simia avrebbe potuto trovare agio di svilupparsi.

Esaminando le specie raffigurate nelle tavole dipinte (delle quali non sono al momento note le provenienze, ma per la somiglianza fra le immagini e i campioni d’erbario è logico supporre, almeno in alcuni casi, una provenienza bolognese degli esemplari rappresentati), balzano subito all’occhio Anacamptis palustris e Dactylorhiza incarnata, specie tipiche di luoghi umidi e paludosi [Pignatti et al., 2017-2019], ancora citate da Cocconi [1883] rispettivamente per le zone di Porretta e Granaglione e per le valli del Camerone, ma oggi estinte in provincia di Bologna.

Dunque, il paesaggio vegetale che le orchidee di Aldrovandi raccontano è simile a ciò che vediamo ai nostri giorni, ma solo nelle sue linee fondamentali: abbiamo boschi di collina e montagna, qualche piccolo lembo di bosco planiziale, qualche piccola zona umida (anch’esse in buona parte ricostruite con fondi europei, o ex giochi di caccia riconvertiti a una vocazione naturalistica), ma un esame più attento della distribuzione delle specie tradisce i profondi mutamenti avvenuti da allora, per la progressiva bonifica e sistemazione idraulica della pianura con canalizzazioni e arginature estese, il diverso governo del territorio collinare e montano (oggi il pascolo intraforestale sarebbe tollerato molto a fatica, mentre fino a tutto l’Ottocento era quasi la prassi: cfr. CAI Bologna, 1881): in poche parole, per il diverso stile di vita della popolazione residente e le oscillazioni che il clima ha subito dall’optimum tardomedioevale alla fase odierna di riscaldamento e inaridimento, attraverso il periodo freddo e secco della Piccola Era Glaciale [Buldrini et al., 2023b].

L’esplorazione floristica del Bolognese compiuta da Ulisse Aldrovandi dal punto di vista orchidologico

Le 20 specie di sicura provenienza bolognese presenti nell’Erbario Aldrovandi corrispondono al 43,5% delle 46 specie note nel XIX secolo [Cocconi, 1883]: un risultato discreto, se teniamo conto del contesto storico-scientifico in cui furono compiute queste raccolte e se consideriamo che almeno 11 specie, non presenti in erbario, ma illustrate nelle tavole dipinte, con ogni probabilità crescevano anche allora nel Bolognese (Anacamptis coriophora, A. laxiflora, A. pyramidalis – Fig. 1 –, Himantoglossum hircinum, Limodorum abortivum, Neottia nidus-avis, Ophrys apifera, O. bertolonii, Orchis anthropophora, O. militaris, Platanthera chlorantha), alcune in luoghi aperti e luminosi, tendenzialmente aridi o con un certo carattere ruderale, altre in zone ombrose, ma calde, altre ancora in ambienti freschi, ombrosi o nei boschi montani [Pignatti et al., 2017-2019]. Le 20 specie dell’erbario, quindi, insieme con le 13 delle tavole dipinte (11 tuttora viventi nel territorio felsineo, 2 oggi scomparse), sono una buona rappresentazione della realtà esistente al tempo di Aldrovandi, almeno per quanto concerne questa famiglia, pur se la raccolta e catalogazione delle specie da lui compiuta si basa su criteri abbastanza lontani da quelli vigenti alla nostra epoca.

Conclusioni

Abbiamo visto come la presenza nel territorio bolognese delle 20 specie già attestate nell’Erbario Aldrovandi sia stabile e consolidata nei secoli, sia pure con qualche variazione a causa delle trasformazioni che l’ambiente ha subito dal Rinascimento a oggi. Di altre specie, raffigurate nelle tavole dipinte, l’esistenza in periodo rinascimentale è pure plausibile, perciò nel complesso potremmo stimare, in via del tutto approssimativa, una lista di una trentina abbondante di specie viventi all’epoca in provincia di Bologna. Tale risultato è ovviamente ipotetico, ma contribuisce a dare un’idea del paesaggio che poteva vedere Aldrovandi e del grado di conoscenza floristica da lui acquisito, non solo per il suo territorio. Si conferma dunque non solo il fondamentale contributo da lui offerto alla nascita della botanica moderna, ma anche l’interesse che le orchidee da sempre destano nell’uomo, per la loro varietà e il peculiare aspetto estetico e per la loro importanza come indicatori della presenza d’ambienti diversi, utili quindi in indagini retrospettive della biodiversità di un territorio.