N.2 2024 - Scientia | Dicembre 2024

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Massimo Mazzotti, Reactionary Mathematics: A Genealogy of Purity

Niccolò Guicciardini

Università degli Studi di Milano niccolo.guicciardini@unimi.it

Chicago, The University of Chicago Press, 2023, p. 343. ISBN: 978-0226826745

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L’ultimo libro di Massimo Mazzotti, premiato dall’American Association of Italian Studies con l’AAIS Book Prize, che qui viene brevemente recensito, è da annoverare fra i più importanti studi di storia della matematica degli ultimi anni. Mazzotti dedica il suo studio a una controversia matematica che incendiò gli animi dei matematici napoletani nel periodo dal 1790 al 1830: gli anni drammatici che portarono alla breve Repubblica napoletana (1799) repressa nel sangue, gli anni dell’esperienza napoleonica col regno di Napoli (1806-1815) e della Restaurazione. Mazzotti ha condotto una ricerca d'archivio vastissima, che include non solo fonti pertinenti alla storia della matematica in senso stretto. Reactionary Mathematics è uno studio a tutto tondo della cultura napoletana a cavallo fra Settecento e Ottocento e tocca temi disparati, ma come l’autore mostra in modo convincente, collegati fra loro, concernenti la storia economica (le riforme agrarie e la nascente borghesia imprenditoriale), la storia dell’arte (i paesaggisti della scuola di Posillipo), la storia della istituzioni religiose e di insegnamento (Università e Corpo Reale degli ingegneri di Ponti e Strade, la Scuola di Applicazione, ma anche conventi e scuole private di matematica).

La controversia concerneva i metodi di soluzione dei problemi geometrici. Secondo i difensori del “metodo analitico” un problema geometrico deve essere tradotto in termini algebrici e di calcolo: il matematico deve formulare un sistema di equazioni, quindi manipolare i simboli secondo un algoritmo, per giungere infine a una soluzione espressa in simboli che possono poi essere interpretati geometricamente. Secondo i difensori del ‘metodo sintetico’, un problema geometrico deve essere trattato in termini geometrici: il matematico non deve abbandonare l’intuizione geometrica e deve arrivare a una soluzione in termini di una costruzione ottenuta applicando postulati, come quelli euclidei, che prescrivono come utilizzare degli strumenti per il tracciamento di curve. È l’intersezione di queste curve che identifica dei punti che il matematico utilizza per costruire la figura cercata.

In questa fase della storia della matematica i termini ‘analisi’ e ‘sintesi’ non hanno più il significato pappusiano che era evidente ai matematici del Seicento, per i quali era perfettamente possibile avere un’‘analisi geometrica’. Qui ‘analisi’ si identifica con algebra e calcolo, ‘sintesi’ con geometria. La cosa interessante del caso napoletano è che la spaccatura fra difensori dell’analisi e difensori della sintesi riflette una drammatica opposizione politica fra giacobini (termine usato da Mazzotti in senso volutamente generico) o napoleonici da un lato, e borbonici dall’altro. Tale distinzione, naturalmente, non può essere estesa a livello europeo. Nel caso ‘periferico’ della cultura napoletana, studiata sotto la lente della microstoria, la distinzione è piuttosto netta, con significative eccezioni, come nel caso di Nicola Fergola trattato con attenzione da Mazzotti (si vedano le pagine 157-158). Ha quindi senso parlare di una cultura matematica napoletana dell’analisi e una contrapposta cultura della sintesi, dove il riferimento è alle ‘cultures of proving’ di Eric Livingston e alla storicizzazione radicale della storia della matematica attuata negli esemplari lavori di Donald MacKenzie.

Gli analitici napoletani concepivano l’analisi come un metodo importato dalla Francia che poteva contribuire alla riforma del sistema di potere dell’Antico Regime. L’analisi veniva infatti associata da matematici come Carlo Lauberg, Annibale Giordano, Domenico Cirillo e Ottavio Colecchi a un’idea di ragione e di natura tipicamente illuministiche. La ragione e la natura sono strutturate, alla Condorcet, non in senso gerarchico ma in senso ‘combinatorio’: il metodo analitico è efficace perché coglie tale struttura. Ciò ha conseguenze a livello dei sistemi di potere difesi dagli analisti dato che il metodo algebrico, sviluppato nel senso più pieno e autorevole da Joseph-Louis Lagrange, la cui opera è il costante punto di riferimento per i matematici riformisti e/o rivoluzionari, viene da essi concepito come lo strumento per amministrare lo Stato (si pensi alla topografia o alla riforma del sistema di tassazione), per educare all’uso corretto di una ragione indipendente dalla tradizione, per ridistribuire la partecipazione alle scelte politiche in senso democratico. Infatti, Mazzotti difende la tesi caratteristica della scuola STS di Edimburgo secondo la quale vi è una connessione stretta fra la produzione di conoscenza e la costruzione di un ordine sociale.

Chiunque, propriamente addestrato, può apprendere il metodo analitico e, una volta in possesso di questo strumento, può comprendere, indipendentemente dall’autorità di un attore, che per qualche motivo vorrebbe occupare una posizione eminente, la struttura della realtà e usare la ragione calcolatrice per contribuire al benessere della società. La cultura analitica pervade lo spirito innovatore dei giacobini e napoleonici napoletani e Mazzotti dedica alcune pagine avvincenti (31-36) ai tentativi intrapresi da Domenico Grimaldi, un entusiasta lettore dell’Encyclopédie, di meccanizzazione della produzione di olio come esempio di ragione analitica applicata all’agricoltura, ragione che incontrò, appunto, significative resistenze da parte di mezzadri, latifondisti e speculatori. Chi, come me, ha assistito agli effetti della riforma agraria del dopoguerra nell’eliminazione della mezzadria, sa bene come la complicità fra proprietario e mezzadro nel difendere la vecchia forma di organizzazione paternalistica della società agricola toscana andasse di pari passo con il rifiuto della meccanizzazione della coltivazione e produzione di vino e olio e con un’immagine nostalgica della cultura contadina preindustriale. A questa altezza è bene accennare a un’importante distinzione fra gli analitici giacobini del periodo rivoluzionario e gli analitici napoleonici. Durante il periodo napoleonico l’analisi francese è ancora difesa, ma non come strumento di emancipazione: piuttosto l’analisi diventa uno strumento di controllo sociale e di estrazione di profitto da una natura soggiogata alla ragione analitica. L’esempio che Mazzotti sviluppa più estesamente è quello della matematica applicata al rilevamento topografico del territorio. A questo livello si fa strada un’ideologia della neutralità del metodo matematico che può essere utilizzato facendo astrazione dall’oggetto cui è applicato. La genealogia della ‘purezza’ conosce strade tortuose per arrivare fino alla algorithmic modernity, oggetto di un altro lavoro di Mazzotti.

I sintetici, per contro, vedevano nei metodi della scuola analitica francese una perversione immorale (la dimensione etica della loro opposizione non deve essere sottovalutata) che andava combattuta in nome della tradizione. Una tradizione euclidea di fatto costruita e inventata proprio in quegli anni da un gruppo di matematici filoborbonici e cattolici, come Nicola Fergola, Vincenzo Flauti, e Francesco Colangelo, impegnati a combattere la perversione della matematica francese. La loro posizione è orientata alla nostalgia per un passato fatto di devozione dei sudditi al re e di rispetto per le gerarchie ecclesiastiche. Mazzotti con intelligenza storica pone questo movimento matematico in relazione alla visione nostalgica del paesaggio campano che fiorisce nella scuola dei paesaggisti della Scuola di Posillipo come Anton Sminck van Pitloo e Giacinto Gigante. Il passato matematico da conservare in un moto di reazione alle innovazioni dei matematici filofrancesi è quello dei metodi geometrici, nei quali l’intuizione prevale sulla manipolazione meccanizzata di simboli. Secondo questa prospettiva, l’invenzione matematica è frutto del genio del maestro di una scuola in cui gli allievi avvicinano la verità matematica come manifestazione di una verità da ultimo fondata sulla fede. La teologia e la metafisica non vengono disprezzate, come vorrebbero gli Illuministi, ma coltivate come forme di conoscenza superiori alla matematica. In ogni caso la vera conoscenza, matematica o metafisica che sia, rivela una struttura del reale e della ragione come gerarchicamente strutturate. È in questo contesto fortemente influenzato da sentimenti religiosi, come Mazzotti ha mostrato nel suo precedente lavoro dedicato a Maria Gaetana Agnesi, che nasce l’idea della matematica come disciplina ‘pura’ che non deve inquinare la propria astrazione con la ragione calcolatrice applicata alla tecnologia e al controllo della società. Mazzotti, infatti, caratterizza foucaultianamente il suo libro come dedicato alla ‘genealogia della purezza’. L’idea che la matematica sia una forma di conoscenza ‘pura’ è vista da Mazzotti come contingente e storicamente situata: si tratta di un’idea che caratterizza ancora la nostra modernità.

Mazzotti parla dell’invenzione della tradizione sintetica euclidea da parte dei matematici ‘reazionari’, ma, leggendo il suo libro, sembra che sia in atto a Napoli anche un’invenzione della tradizione analitica da parte dei ‘giacobini’, prima, e dei ‘napoleonici’ dopo. In primo luogo, Lagrange non era il sostenitore di una matematica applicata per il progresso della società, ma era un purista che condivideva l’ansietà per la purezza e i fondamenti che caratterizzano la biografia intellettuale di un reazionario come Augustin-Louis Cauchy. La sua idea era fondare il calcolo su una dimostrazione algebrica dello sviluppo in serie di Taylor e definire le derivate di una funzione come i coefficienti (moltiplicati per i relativi fattoriali) della serie di potenze. Lagrange voleva liberare il calcolo dall’intuizione geometrica o cinematica proprio per garantire purezza al calcolo sublime. Contrariamente all’ ideologia difesa dai matematici analitici napoletani, alcuni ingegneri francesi manifestavano scetticismo nei confronti dei metodi analitici considerandoli inapplicabili a situazioni reali. In secondo luogo, l’analisi non è così meccanica e svincolata dall’intuizione come vorrebbero gli analisti napoletani. Nel metodo analitico si parte da una traduzione del problema geometrico in termini di un sistema di equazioni. Ora, trovare tale sistema (l’inventio aequationis nel linguaggio dei matematici del Seicento) non è un’operazione ‘meccanica’, riducibile a un algoritmo. Al contrario, tale traduzione richiede molta fantasia: ovvero, per fare alcuni esempi, un’attenzione per le simmetrie degli oggetti studiati e una capacità di scegliere un sistema di riferimento opportuno (si vedano su questo gli studi di Andreas Verdun sulla meccanica celeste di Leonhard Euler). Solo dopo tale atto creativo da parte del matematico analitico il calcolo può essere applicato alle equazioni e, in alcuni casi semplici, il matematico può procedere ‘ciecamente’, applicando meccanicamente un algoritmo (la cogitatio caeca di leibnizana memoria). Ma non solo l’inventio aequationis richiede uno sforzo creativo e un’intuizione geometrica da non sottovalutare: anche la manipolazione di simboli non sempre procede in modo prevedibile e accessibile a chiunque abbia appreso le regole del calcolo. Il calcolo integrale, l’integrazione di un’equazione differenziale, è un’arte che non si lascia ridurre a un algoritmo meccanico.

Il libro di Mazzotti ha molti meriti. Il principale è la finezza con la quale l’autore dipinge la cultura politica e religiosa dei matematici napoletani. Mazzotti mostra un notevole equilibrio nell’analisi delle posizioni dei ‘reazionari’ che vengono studiati nelle loro ansie religiose, altrettanto ardenti degli ideali repubblicani che portarono al patibolo tanti patrioti repubblicani nel 1799, con comprensione ed empatia. Tale equilibrio può in parte essere attribuito all’adesione dell’autore al principio di ‘simmetria’ caro alla scuola di Edimburgo, ma sembra essere il risultato di una naturale vocazione per una pratica della storia che avrebbe convinto Marc Bloch. Come mostra Mazzotti, la ‘reazione’ di Fergola e dei suoi successori non equivale a un regresso verso un passato improduttivo: la loro matematica si nutre anche di innovazioni quali la geometria descrittiva di Gaspard Monge, e, più in profondo, è un capitolo minore della costruzione della nostra modernità matematica. La storia che Mazzotti narra è fatta di sangue, preghiere, e cilici, di ideali repubblicani e sacrifici personali fino al patibolo. La storia della matematica acquista così una dimensione umana profonda, al punto che Mazzotti si spinge a riproporre un’idea dovuta a David Bloor e MacKenzie secondo la quale la difesa di un metodo matematico e quella di un ordine di potere sociale sono due facce della stessa medaglia, o più in generale, che la produzione di conoscenza è sempre co-produzione di una forma di ordine sociale. In verità, riflettere sulla portata delle tesi, anche le più estreme come quella appena citata, difese in Reactionary Mathematics è un’occasione preziosa per riprendere in considerazione le possibilità ancora aperte dagli assunti metodologici del programma forte della scuola di Edimburgo, secondo i quali la storia sociale non è uno ‘sfondo’ in cui si sviluppa la scienza, ma entra nella pratica scientifica stessa in modo inscindibile.