N.2 2024 - Scientia | Dicembre 2024

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Paolo Graziosi (Firenze, 1906 - Firenze, 1988)

Claudio Pogliano

claudio.pogliano@unipi.it

Received 02/10/2024 | Accepted 06/11/2024 | Published online 17/12/2024

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Muovendosi con disinvoltura, Paolo Graziosi praticò settori d’indagine fra loro collegati, come antropologia, paleoantropologia, etnologia e paletnologia. Durò più di mezzo secolo la sua attività che incluse studi sul campo (scavi in Italia e all’estero), insegnamento universitario e organizzazione di cultura, divulgazione con vari mezzi. Fotocamera e cinecamera furono sempre strumenti essenziali dei suoi viaggi e della sua ricerca, quando l’antropologia visuale come disciplina stava perfezionando i propri metodi in Europa e negli Stati Uniti. Graziosi mirò ad ampliare quella conoscenza della preistoria che, già cresciuta notevolmente dai primi del ’900, si configurava come un ambito in rapido divenire grazie al susseguirsi di scoperte in vari siti archeologici. Un sistema di sapere basato su dati di carattere naturalistico che tuttavia si avvaleva anche di metodi mutuati dalla cultura storico-artistica.

Nato a Firenze il 2 novembre 1906, era figlio del pittore e scultore Giuseppe Graziosi, di origine emiliana e amico di Ardengo Soffici, bene integrato nel clima di ‘ritorno all’ordine’ che prese forma in Italia dagli anni Venti. La sensibilità artistica dello ‘scienziato’ Graziosi risentì della suggestione esercitata dalla figura paterna, cui fu molto legato. Ancora studente liceale già frequentava l’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Firenze, pubblicando due note sulla cosiddetta ‘Venere’ di Savignano (Modena), appena venuta alla luce in un deposito alluvionale e consegnata da alcuni contadini a suo padre [Graziosi, 1924]; [Graziosi, 1925]. Nel corso del tempo continuò a essere attratto da quel genere di statuette femminili, diffuse dall’Atlantico alla Siberia. S’iscrisse alla Facoltà di Scienze nel 1926, seguendo anche lezioni di archeologia a Lettere, ed ebbe occasione di seguire scavi condotti alle grotte dei Balzi Rossi sul confine italo-francese, alla grotta Romanelli in Terra d’Otranto e in Val Camonica. Si laureò nel 1930 con una tesi sotto la guida di Aldobrandino Mochi, di cui divenne assistente, ma fin dal 1928 aveva seguito corsi tenuti alla Sorbona da Henri Breuil, allora massima autorità sulla preistoria, al quale resterà legato da un rapporto non solo professionale. A Firenze ebbe dal 1936 l’insegnamento di Paletnologia presso la Facoltà di Lettere, mentre fra il 1934 e il 1937 si registrano una dozzina di voci da lui preparate per l’Enciclopedia italiana.

Cominciò allora la sua partecipazione a missioni scientifiche nelle colonie africane, sin da quella del 1933, sotto l’egida della Società Geografica Italiana, nel Fezzan e in alcune zone della Tripolitania settentrionale, alla ricerca di manufatti litici, incisioni e pitture rupestri [Graziosi, 1933]; [Graziosi, 1934]. Quell’area desertica libica – ma generosa di acqua, flora e fauna fino a 5000 anni addietro – fu nuovamente da lui visitata verso la fine del decennio, i risultati poi raccolti in un libro con ampio corredo di tavole [Graziosi, 1942]. Non era certo il primo a occuparsi delle regioni sahariane, ma le sue ricerche apportarono senz’altro nuovi materiali: basti pensare alla lunga e laboriosa azione di Leo Frobenius o ai contributi dell’archeologo Henri Lhote [Lhote, 1936]. Attraversò vari territori della Somalia nel 1935, scoprendovi stazioni di superficie e depositi stratificati in grotta [Graziosi, 1940]. Già nel 1938 era stato Graziosi a proporre di allestire una sezione preistorica all’interno della Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare che si aprì a Napoli il 9 maggio 1940, estesa tra Fuorigrotta e Campi Flegrei. Fu concepita come dettagliato encomio delle realizzazioni del valore e del lavoro italiano in Africa e altrove, documentando la capacità espansiva della ‘stirpe’. Programmata fino a metà ottobre, lo scoppio della guerra costrinse a chiuderla un mese appena dopo l’inaugurazione. Italo Balbo, governatore generale della Libia, aveva sostenuto il progetto presentato da Graziosi, che tuttavia poté sottrarsi alla propaganda del contesto espositivo grazie all’argomento da lui trattato, remoto nel tempo e non facilmente sfruttabile a fini politici. In pari modo, seppure incaricato nel 1939 dall’Università di Pisa di insegnare Antropologia e poi Paleontologia umana, corsi da tenersi «in viva connessione con gli argomenti razziali» – così il verbale dell’adunanza della Facoltà di Scienze –, nei suoi scritti di quel periodo non si trova traccia di un’adesione esplicita alle politiche del regime [Tarantini, 2004, p. 14-15]. E senza alcuna sbavatura retorica, Graziosi condensò in una cinquantina di pagine quanto si sapeva delle civiltà preistoriche per la grande opera in tre volumi diretta dal geografo Renato Biasutti sulle Razze e i popoli della terra, la cui prima edizione apparve nel 1941, quando la politica razziale fascista era in pieno vigore, mentre l’ultima – accresciuta ma non molto modificata – uscì ancora nel 1967, due anni dopo la morte del curatore [Graziosi, 1941a]. Dal 1942 effettuò scavi con il collega milanese Carlo Maviglia nella grotta di San Teodoro, in provincia di Messina, raccogliendo materiale paleontologico da inumazione e paletnologico di grande interesse, poi descritto accuratamente [Graziosi, Maviglia, 1946]; [Graziosi, 1947].

L’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, di cui Graziosi era segretario dal 1936, fu commissariato alla fine del 1944 e affidato a Piero Calamandrei, di lì a poco rettore dell’Università di Firenze. I due condividevano l’affiliazione al Partito d’Azione, dopo il cui scioglimento nel novembre 1947 Graziosi decise di allontanarsi dalla militanza politica, mentre si applicò a riorganizzare il proprio settore di studi. Già nel 1946 uscì il primo fascicolo della Rivista di Scienze Preistoriche, da lui ideata e diretta. Il programma sottolineava l’esigenza di aprire la collaborazione non solo agli specialisti ma anche a tutti i cultori di discipline in grado di portare, sia pure indirettamente, il loro contributo alla conoscenza di culture e industrie umane primitive, comprese quelle ancora esistenti. Era esplicito il rifiuto di compartimenti stagni: si aveva infatti di fronte un fenomeno unitario, grandioso e complesso. S’imponeva inoltre l’obbligo di riprendere contatto con la comunità scientifica internazionale dopo l’isolamento imposto dal fascismo e dalla guerra [Graziosi, 1946]. Insieme con il trimestrale, nacque anche il Museo e Istituto fiorentino di preistoria presso l’ex convento delle Oblate, che Graziosi diresse per decenni e che oggi porta il suo nome. Al 1954 risale invece – in seguito a una scissione dall’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (IIPU) – la fondazione dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (IIPP), che lo ebbe fra i promotori e suo presidente dal 1961 al 1988. Era stata parecchio travagliata la vicenda dell’IIPU, fondato a Firenze nel 1927 per iniziativa di Mochi e di Gian Alberto Blanc che lo presiedette a lungo, scienziato di regime che, come molti altri, scampò indenne alla procedura di epurazione. Nell’immediato dopoguerra si creò una frattura netta tra le sedi di Firenze e Roma sull’assetto da dare all’IIPU, con un durevole conflitto che vide contrapposti i coetanei Graziosi e Carlo Alberto Blanc, figlio di Gian Alberto. Fra l’altro, il primo era risultato vincitore nel 1948 della cattedra di Paleontologia umana a Pisa, cui aveva ambìto anche il secondo [Tarantini, 2004]; [Tarantini, 2014]. Nel 1953 Graziosi lasciò la cattedra pisana per quella fiorentina di Antropologia che comportava anche la direzione del Museo di antropologia e etnologia.

Lungo i tre anni precedenti, sull’isola di Levanzo (Egadi), aveva riprodotto con lucidi e fotografie un ciclo di pitture neolitiche antropomorfe, fortemente stilizzate, appena rinvenute nella Grotta del Genovese, nonché una serie cospicua di incisioni zoomorfe e antropomorfe, databili alla fase finale del Paleolitico superiore. Ne dette notizia in articoli pubblicati sulla sua rivista e in una monografia apparsa una decina di anni dopo [Graziosi, 1962a]; [Martini, 2018], argomentando a favore dell’esistenza di una «provincia mediterranea» nell’arte preistorica, di cui era convinto da tempo, data l’affinità degli esemplari siciliani con quelli della Spagna orientale e meridionale. Fu nel 1956 che due specialisti francesi di arte quaternaria, Louis-René Nougier e Romain Robert, annunciarono il ritrovamento di pitture e incisioni da loro attribuite al magdaleniano, per lo più raffiguranti mammut, nella grotta di Rouffignac (Périgord, Dordogna). In pochi mesi dovettero intervenire fra gli altri, Breuil e Graziosi, a difesa dei colleghi contro un giornalista secondo cui autori di quelle opere erano stati dei maquis là rifugiatisi in tempo di guerra [Nougier, Robert, 1957]; [Graziosi, 1957a][v].

Graziosi nella Grotta di Marsoulas (Pirenei), 1951.

Nel 1956, L’arte dell’antica età della pietra si presentò non come un trattato, ma come “visione panoramica” del fenomeno, essendovi inclusa la produzione sia mobiliare sia rupestre. Al di là della cerchia degli specialisti, il corpus dell’arte preistorica – sosteneva l’autore – era pressoché sconosciuto, nonostante qualche sporadica mostra avesse qua e là tentato di avvicinare al tema un pubblico più ampio. Circolavano idee vaghe o erronee, e i più neppure sospettavano che, assai prima delle ben note manifestazioni egizie, tutto un mondo di forme e colori fosse fiorito in era ancora glaciale. Passando in rassegna quelle manifestazioni pittoriche e plastiche, Graziosi prometteva di penetrarne la misteriosa essenza. A suo parere un agire così prodigioso, durato e mutato per millenni, non poteva derivare soltanto da un impulso creativo fine a sé stesso; altro era in gioco, forme di magia propiziatoria della riproduzione e della caccia che sottendevano una mentalità esoterica. Con prudenza la sua posizione tese a conciliare il fine edonistico con quello utilitario, così come all’equilibrio fu improntato il suo atteggiamento nei confronti di questioni controverse riguardanti la cronologia e l’evoluzione dell’arte preistorica [Graziosi, 1956a]. In Italia e all’estero, numerose recensioni salutarono quel libro imponente – 200 pagine di testo e oltre 200 tavole – come una pietra miliare, primo strumento di consultazione tanto vasto e sistematico. È pur vero che pochi anni prima anche Breuil aveva fornito una grande sintesi, però limitata all’arte parietale [Breuil, 1952]. E l’abate, ormai ottantenne, facendo valere il proprio ruolo di ‘maître’ si sentì in dovere di commentare con critiche in dettaglio l’impresa, seppur giudicata utile [Breuil, 1957]. L’allievo gli renderà un tributo nel necrologio di pochi anni dopo, ricordandone la prodigiosa massa di lavoro compiuto, la generosità verso i più giovani, la multiforme personalità scientifica [Graziosi, 1962b]. Va da sé che la classificazione cronologica offerta da Graziosi in L’arte dell’antica età della pietra – come del resto quella, fortemente interpretativa e innovativa, che André Leroi-Gourhan esporrà in un’altra opera monumentale [Leroi-Gourhan, 1965] – andrà incontro a inevitabile revisione, via via che si saranno affacciate ulteriori scoperte e nuove prospettive.

A lungo Graziosi sviluppò un’intensa attività divulgativa su periodici di varo tipo, ma soprattutto mediante la partecipazione a trasmissioni radiotelevisive, quando l’Italia conosceva timidi, sporadici tentativi di comunicare la scienza al grande pubblico. Senza dubbio a quello sforzo pionieristico ebbe l’intuito di destinare parecchio tempo ed energie. Analogamente, fu responsabile dell’allestimento di mostre come quella di arte preistorica che, con carattere sia documentario sia didattico, si tenne alla Strozzina di Firenze nel giugno 1957. Vi vennero esposti calchi, riproduzioni e documenti originali, il cui nucleo centrale proveniva da Parigi – dove un progetto analogo era già stato realizzato – ma arricchito di molti reperti prestati da musei italiani e stranieri [Graziosi, 1957b]. Si dovrà a Graziosi, infine, l’impulso a una mostra sull’arte preistorica del Sahara, che chiuderà la sua carriera nel 1986, organizzata al Museo Archeologico di Firenze e affiancata da un convegno internazionale. Instancabile era sempre stato il suo impegno come conferenziere e relatore a convegni, rivolto a tipologie diverse di pubblico.

Di solerte operosità sul campo furono gli anni ’50 e ’60. In qualità di antropologo Graziosi partecipò a due spedizioni nel Karakorum-Hindukush guidate da Ardito Desio. In particolare, si occupò dei Kafiri, un piccolo gruppo etnico di lingua indo-iranica che viveva isolato in vallate al confine fra Afghanistan e Pakistan, devoto a una religiosità politeistica ricca di pratiche magiche, sacrifici propiziatori, danze e canti. Un breve film da lui realizzato nel 1954 documenta la loro cultura destinata a svanire, mentre un resoconto complessivo fu pubblicato più tardi in inglese [Graziosi, 1964]. Dal 1961 Graziosi mise in evidenza un deposito archeologico nella grotta del Romito a Papasidero, Parco del Pollino (Cosenza). Resti faunistici, frammenti litici e ossei attestavano insediamenti umani di età compresa fra 20.000 e 6.500 anni, con sepolture e incisioni su grandi massi, in particolare quella di una figura di toro simile ad altri bovini rappresentati dall’arte paleolitica mediterranea. A più riprese raccontò i risultati delle proprie ricerche in loco [Graziosi, 1962d]. La penisola appariva ormai un’area di particolare importanza nella carta di distribuzione del fenomeno tradizionalmente localizzato in Spagna e Francia, tanto che gli si dovrà, nel 1973, la stesura di un saggio d’insieme sul caso italiano [Graziosi, 1973a].

Si alternarono sue missioni in Scandinavia, in Messico, Somalia e Kenya, Tripolitania e Cirenaica, India e Afghanistan. Fino al 1967 e 1968 tornò anche ad appassionarlo l’arte rupestre del Fezzan, cui riservò una vasta campagna fotografica [Graziosi 1962c]; [Graziosi, 2005]. Complessivamente furono una ventina i suoi soggiorni di studio in Africa. Nel 1970 iniziò un decennio di campagne di ricerca nella grotta dei Cervi a Porto Badisco (Otranto), dov’erano stati svelati migliaia di pittogrammi e disegni neolitici, forse indizi di un luogo di culto: eccezionale patrimonio iconografico caratterizzato da un simbolismo presente in altri siti mediterranei, testimonianza di un’‘arte levantina’ tipica di popoli di agricoltori dotati di mentalità e finalità molto diverse da quelle proprie dei cacciatori paleolitici [Graziosi, 1980].

Nel 1971, per celebrare i cento anni del Descent of Man di Darwin, si tenne a Roma un Colloquio internazionale cui Graziosi presentò una relazione sostenendo come le ipotesi sulla genesi dell’arte fino allora formulate avessero basi incerte. Privilegiando la concretezza dei dati – un’attitudine a lui congeniale – gli sembrò di poter dire che una produzione artistica fosse comparsa molto tardi nell’evoluzione di Homo sapiens, una delle sue manifestazioni salienti e più suggestive. Si poteva riesumare dalle tenebre delle caverne quel mondo estetico che in certi periodi aveva raggiunto “vette prodigiose” solo attraverso tentativi spesso infruttuosi e sapendo come non fosse dato, al momento, presentarne un quadro organico e compiuto. Graziosi era comunque sicuro che si dovesse indicare l’Europa come luogo di origine e di sviluppo dell’arte figurativa, almeno fin quando nuovi fatti avessero smentito la constatazione. E altrettanto si sentiva in grado di disegnare una curva estetica dal naturalismo franco-cantabrico al tendenziale schematismo prevalente nelle manifestazioni della provincia mediterranea [Graziosi, 1973b].

I suoi ultimi anni di vita furono afflitti da un malfermo stato di salute, che ne limitò in modo crescente le possibilità. Graziosi morì a Firenze il 6 maggio 1988 e fu sepolto nella tomba di famiglia al cimitero di Savignano sul Panaro (MO), accanto al padre Giuseppe.

Opere

1924 = Graziosi Paolo, Su una statuetta preistorica steatopigica rinvenuta a Savignano sul Panaro in Prov. di Modena, «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», 44 (1924), p. 165-167.

1925 = Graziosi Paolo, A proposito della «Venere di Savignano», «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», 45 (1925), p. 38-46.

1933 = Graziosi Paolo, Escursione paletnologica nella Tripolitania Settentrionale, «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», 63 (1933), p. 227-232.

1934 = Graziosi Paolo, Relazione preliminare delle ricerche compiute nel Fezzàn dalla missione preistorica della Reale Società Geografica Italiana (Aprile-Maggio 1933), «Bollettino della Società Geografica Italiana», 11 (1934), p. 107-126.

1940 = Graziosi Paolo, L’età della pietra in Somalia, Firenze, Sansoni, 1940.

1941a = Graziosi Paolo, Le civiltà preistoriche, in Biasutti Renato, Le razze e i popoli della terra, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, vol. I (1941), p. 130-182.

1942 = Graziosi Paolo, L’arte rupestre della Libia, Napoli, Edizioni della Mostra d’Oltremare, 1942.

1946 = Graziosi Paolo, Presentazione, «Rivista di Scienze Preistoriche», 1 (1946), p. 3-5.

Graziosi, Maviglia 1946 = Graziosi Paolo, Carlo Maviglia, La Grotta di S. Teodoro (Messina), «Rivista di Scienze Preistoriche», 1 (1946), p. 277-283.

1947 = Graziosi Paolo, Gli uomini paleolitici della Grotta di S. Teodoro (Messina) (Antropologia), «Rivista di Scienze Preistoriche», 2 (1947), p. 123-223.

1956a = Graziosi Paolo, L’arte dell’antica età della pietra, Firenze, Sansoni, 1956.

1956b = Graziosi Paolo, Die Kunst der Altsteinzeit, Kohlammer Verlag, Stuttgart, 1956.

1957a = Graziosi Paolo, La polemica di Rouffignac, «Rivista di Scienze Preistoriche», 12 (1957), p. 117-122.

1957b = Graziosi Paolo, Mostra dell’arte preistorica. 8-30 giugno 1957. Palazzo Strozzi, Firenze, Firenze, Sansoni, 1957.

1960a = Graziosi Paolo, Palaeolithic Art, London, Faber and Faber, 1960.

1960b = Graziosi Paolo, Palaeolithic Art, New York, McGraw-Hill, 1960.

1962a = Graziosi Paolo, Levanzo. Pitture e incisioni, Firenze, Sansoni, 1962.

1962b = Graziosi Paolo, Henri Breuil 1877-1961, «Rivista di Scienze Preistoriche», 17 (1962), p. 301-303.

1962c = Graziosi Paolo, L’arte rupestre del Sahara libico, Firenze, Vallecchi, 1962.

1962d = Graziosi Paolo, Nuove incisioni rupestri di tipo paleolitico in Calabria, «Rivista di Scienze Preistoriche», 17 (1962), p. 139-145.

1964 = Graziosi Paolo, Prehistoric research in Northwestern PunjabAnthropological Research in Chitral, in Italian Expeditions to Karakorum (K2) and Hindu Kush, Prof. Ardito Desio Leader, V: Prehistory – Anthropology, Leiden, Brill, 1964.

1973a = Graziosi Paolo, L’arte preistorica in Italia, Firenze, Sansoni, 1973.

1973b = Graziosi Paolo, L’origine dell’arte, in Atti del Colloquio internazionale sul tema “L’origine dell’uomo”, Roma 28-30 ottobre 1971, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1973, p. 263-276.

1980 = Graziosi Paolo, Le pitture preistoriche della grotta di Porto Badisco, Firenze, Giunti Martello, 1980.

2005 = Graziosi Paolo, Arte rupestre del Fezzan (missioni Graziosi 1967 e 1968), a cura di Alda Vigliardi, Firenze, IIPP, 2005.