Buonamici, Francesco (Firenze, 1533 – Orticaia, nella municipalità di Dicomano, 1603)
Università degli Studi di Cagliari; camerota@unica.it
Indipendent Scholar; mario.otto.helbing@gmail.com
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Il principale contributo di Francesco Buonamici alla storia della scienza è rappresentato dall’approfondito studio dell’assetto teorico e delle composite espressioni della nozione aristotelica di ‘moto’ (κίνησις / motus). Il suo voluminoso trattato De motu libri X (1011 pagine in folio) esamina l’intera gamma di configurazioni della κίνησις peripatetica, discutendo dettagliatamente il significato preciso delle formulazioni di Aristotele, insieme alle opinioni di numerosi autori che giocarono un ruolo rilevante nel dibattito naturalistico della prima età moderna (per fare solo qualche nome: Lucrezio, Proclo, Plutarco, Pappo, Filopono, Teone, Archimede, Copernico, Pereira, Boccadiferro, Clavio, Zabarella, Toledo).
La figura di Buonamici riveste altresì un notevole interesse alla luce dei suoi rapporti con Galileo. L’ipotesi – originariamente formulata da Antonio Favaro – di un legame diretto di mutuazione tra i primi scritti galileiani di filosofia naturale (i testi raccolti sotto il titolo Juvenilia) e il De motu di Buonamici è stata ritenuta infondata dalla storiografia più recente. Nondimeno, va tenuto presente che Galileo frequentò le lezioni universitarie dell’aristotelico fiorentino, ne attaccò l’interpretazione dell’idrostatica archimedea nel Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (1612) e, oltre a non pochi riferimenti espliciti, all’interno delle opere galileiane si riscontrano molteplici, significativi (ancorché taciti) echi del De motu [Helbing, 1989, p. 64-71, p. 345-371]. È, dunque, plausibile ritenere che Galileo abbia costantemente, nel corso della sua lunga carriera scientifica, fatto riferimento al ponderoso trattato di Buonamici come fonte privilegiata per la conoscenza della philosophia naturalis peripatetica.
Francesco Buonamici nacque nel 1533 a Firenze, da Niccolò, di professione notaio. Studiò filosofia e medicina all’Università di Pisa, dove ebbe come maestro il bolognese Mainetto Mainetti (†1572), figura minore dell’aristotelismo rinascimentale, ma singolarmente contraddistinta da una spiccata vena di matematismo platonico. La formazione intellettuale del Buonamici fu inoltre segnata dal sodalizio intellettuale con due insigni filologi dell’epoca, Pier Vettori (1499-1585) e Ciriaco Strozzi (1504-1565), sotto la cui guida il Nostro maturò la straordinaria padronanza della letteratura greco-antica evidente in tutti i suoi lavori.
Nel 1565 Buonamici cominciò a tenere corsi all’Università di Pisa come philosophus extraordinarius, divenendo poi ordinarius nel 1571, con il compito di insegnare il De caelo, il De Anima e la Physica di Aristotele in cicli triennali. Chiamato, nel 1598, a succedere a Francesco Piccolomini sulla cattedra di Filosofia naturale a Padova, preferì non accettare, restando al servizio dell’ateneo toscano. Rimase, dunque, all’Università di Pisa fino alla fine della vita. Morì nella sua tenuta di Orticaia, una frazione del comune di Dicomano, il 23 settembre 1603.
Nell’anno della morte, Buonamici diede alle stampe un corposo volume (759 pagine) su argomenti medici ed embriologici: il De alimento. Le quaestiones trattate spaziavano su una variegata gamma di contenuti teorici e terapeutici attinenti alla natura e funzionalità del nutrimento nonché alle proprietà delle sostanze nutritive, per passare poi all’esame dei problemi concernenti la formazione e lo sviluppo del feto.
Al 1597 risalgono invece i Discorsi poetici nell’Accademia Fiorentina in difesa d’Aristotile, in cui Buonamici raccoglieva una serie di lezioni svolte in diretta polemica con il commento alla Poetica di Aristotele elaborato dal letterato modenese Lodovico Castelvetro (1505-1571).
L’opera principale di Buonamici resta però il De motu, completato nel 1587, ma pubblicato solo nel 1591. Il volume è articolato in dieci libri. Nel primo, Buonamici delinea le regole da seguire nella ricerca naturalistica. Nel secondo analizza il concetto di moto, affrontando i problemi della sua continuità e del rapporto con la quiete. Il terzo e il quarto libro trattano del moto degli elementi, rilevando soprattutto il ruolo della forma nel produrlo, con interessanti digressioni sul movimento nel vuoto e sull’accelerazione di caduta libera. Nel quinto libro Buonamici, dopo aver discusso la cosmologia copernicana, approfondisce i concetti di ‘pesantezza’ (gravitas) e ‘leggerezza’ (levitas), esponendo le proprie opinioni sulle cause del moto dei gravi. I libri successivi, fino all’ottavo, sono dedicati ad aspetti diversi del motus considerato nella sua ampia accezione aristotelica; vengono così prese in esame la trasformazione sostanziale, la generazione, l’aumento e la diminuzione, la condensazione e la rarefazione, l’alterazione, la variazione di intensità delle qualità (intensio et remissio qualitatum). Gli ultimi due libri trattano poi dei moti circolari della sfera celeste, della materia dei cieli, dell’eternità e perfezione del mondo, e infine di Dio, che Buonamici, riprendendo Epicuro, qualifica come un’entità che contempla eternamente se stessa, senza preoccuparsi in alcun modo delle vicende umane.
Una caratteristica notevole del De motu attiene al motivo della sua stesura. Buonamici racconta di aver scritto il libro a seguito di una disputa sulla questione del moto degli elementi insorta con altri professori dell’Università di Pisa. Molto probabilmente il suo principale avversario era il collega Girolamo Borro (1512-1592), acceso sostenitore delle opinioni di Averroè, mentre Buonamici faceva piuttosto riferimento ai commentatori greci di Aristotele. La polemica investiva direttamente il controverso (e assai dibattuto) tema della caduta dei corpi leggeri e pesanti. La quaestio concerneva, in prima istanza, il moto locale degli elementi (acqua, aria, terra e fuoco) e, per implicazione, anche il moto dei corpi naturali o ‘misti’, poiché, secondo la physica aristotelica, i loro moti dipendono dalla tendenza dinamica dell’elemento che li compone in prevalenza. Diverse centinaia di pagine del De motu sono dedicate alla confutazione delle opinioni di Averroè sul moto degli elementi, cui vengono contrapposte le tesi di Alessandro di Afrodisia, Temistio e Simplicio. Il richiamo ai commentatori antichi di Aristotele è spesso svolto in polemica con la scolastica medievale, che Buonamici – ammiratore entusiasta della cultura greca nonché solerte e filologicamente avvertito indagatore del genuino verbum dello Stagirita – considerava con un certo disdegno, ritenendola responsabile dell’innesto nella dottrina peripatetica di elementi spuri, propri della cultura cristiana. Non sembra quindi corretto raffigurare l’autore del De motu come un mero epigono dei teorici medievali dell’impetus [Koyré, 1939, p. 19-40], o definirlo «un aristotelico ortodosso e tradizionale che cita le opinioni dei moderni (iuniores) principalmente per confutarle» [Wallace, 1970, p. 590]. Al contrario, nutrito di influenze classiche e permeato di motivi e suggestioni provenienti da autori di contrastanti tendenze speculative, il pensiero di Buonamici si qualifica piuttosto come un notevole esempio dei mutamenti che la nuova sensibilità culturale affermata dal Rinascimento seppe introdurre nell’ambito della millenaria, fortemente standardizzata tradizione aristotelica.
Alcuni dei principali temi trattati nel dibattito pisano sul moto risuonano nelle pagine dei primi scritti galileiani di dinamica, i cosiddetti De motu antiquiora. In particolare, possiamo trovare riferimenti impliciti all’opera di Buonamici nella discussione delle questioni della caduta dei corpi e dell’estrusione archimedea.
Per quanto riguarda il primo argomento, Galileo, nel suo trattato De motu, discute il problema della caduta di corpi di materia diversa (legno, piombo e ferro), in manifesta continuità con i resoconti già forniti da Buonamici e dal suo rivale, Girolamo Borro. Tutti e tre (Borro, Buonamici e Galileo) ricorsero all’evidenza sperimentale per avvalorare le proprie teorie, il che porta a ritenere che il famoso esperimento galileiano della ‘Torre pendente’ vada riconsiderato ed inquadrato all’interno di un approccio sperimentalistico condiviso da diversi professori dell’Ateneo pisano – oltre ai già nominati si possono ricordare anche Jacopo Mazzoni (1548-1598) e Giorgio Coresio (1563-1661), che, nei loro scritti, riferiscono di analoghe prove di caduta [Camerota - Helbing, 2000, p. 334-345].
Nel De motu, Buonamici sviluppa, inoltre, una forte critica dell’estrusione archimedea, in diretta polemica con taluni (non meglio specificati) mathematici e neoterici che avevano sollevato obiezioni alla dottrina peripatetica del moto dei gravi. In particolare, per contrastare l’idea (archimedea) che un corpo risulti sollevato da un mezzo di peso specifico maggiore, Buonamici sosteneva che il moto verso l’alto dei corpi estrusi sarebbe caratterizzato da un progressivo rallentamento e non da una accelerazione, come avviene per tutti i moti naturali. Contro questa opinione, Galileo, nei De motu antiquiora, afferma che i moti verso l’alto non sono moti naturali causati da una qualità positiva quale la ‘leggerezza’ del corpo, ma moti violenti operati per estrusione; argomenta quindi che non è affatto necessario che un grave deceleri nel moto verso l’alto, dal momento che il motore rimane costantemente unito al corpo. Sembra, pertanto, che la questione dell’estrusione costituisse uno dei principali argomenti discussi durante il dibattito pisano sul moto degli elementi e che le risposte di Galileo alle obiezioni anti-archimedee fossero formulate in diretta polemica con le tesi di Buonamici [Camerota - Helbing, 2000, p. 345-363].
Un allievo di Buonamici, Scipione Aquilani (1577-1623), in un libro del 1620 sulla filosofia greca pre-aristotelica (De placitis philosophorum qui ante Aristotelis tempora floruerunt), definì il maestro come «il più irriducibile difensore della dottrina peripatetica».
Nonostante la consolidata reputazione del suo autore quale acerrimus Peripateticae doctrinae defensor, l’opera di Buonamici rivela nondimeno la conoscenza e l’apprezzamento di una vasta, variegata congerie di orientamenti intellettuali, costituita non solo dai commentatori – antichi e coevi – della filosofia naturale peripatetica, ma anche da esponenti di altri indirizzi speculativi. In questa attitudine all’ascolto di voci dissonanti rispetto al mainstream aristotelico, il lascito teorico di Francesco Buonamici – a dispetto della costantemente proclamata fedeltà alla parola del Philosophus – contribuisce a mettere in luce la ricchezza e complessità dello scenario culturale in cui si formò e mosse i primi passi il giovane Galileo.
Bibliografia
Opere di Francesco Buonamici
Opere a stampa
1591, De motu libri X, Florentiae, apud Bartholomaeum Semartellium.
1597, Discorsi poetici nell’Accademia Fiorentina in difesa d’Aristotile, in Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti.
1603, De alimento libri V ubi multae medicorum sententiae delibantur et cum Aristotele conferuntur, Florentiae, apud Bartholomaeum Semartellium Iuniorem.
1758, Due lettere a Pier Vettori in A. M. Bandini, Cl. Italorum et Germanorum Epistolae ad Petrum Vettorium, Florentiae, Praesidium Facultate, III, pp. 196-206.
Manoscritti
De logica ad Laelium Taurellum, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale (d’ora in avanti BNCF), Magliab. VIII. 49.
Quaestio de primo cognito (1565), BNCF, Fondo Naz. II. V. 164.
Lectiones super primo et secundo Meteororum, BNCF, Magliab. XII. 29, cc. 45r-422r.
An mens sit forma assistens an informans, BNCF, Magliab. XII. 40, cc. 2r-8r.
Lettione dell’eccellentissismo filosofo Francesco Buonamici recitata nella felicissima Accademia Fiorentina (1569), BNCF, Magliab. IX. 125.
Lettera latina a Benedetto Varchi, BNCF, Magliab. II. IV. 64.
Lettere in italiano
- a Lorenzo Giacomini, Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 2438;
- a Giambattista Strozzi, BNCF, Magliab. VIII. 1899;
- a Piero Strozzi, BNCF, Magliab. II. V. 164, cc. 90r-91v;
- a Benedetto Varchi, BNCF, Magliab. II. V. 164, c. 92r-v;
- a Baccio Valori, BNCF, Rinucc. F 27;
- a Pier Vettori, London, The British Library, Add MS 10264.
Porphyrii de abstinentia a esu carnium libri quattuor F. Buonamico interprete, BNCF, Conv. Sopp. C. 10. 879.
Studi
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Camerota, 2008 = Camerota Michele, Buonamici Francesco, in The New Dictionary of Scientific Biography, edited by Noretta Koertege, Detroit, Thomson Gale, 2008, I, p. 441-444.
Camerota– Helbing, 2000 = Camerota Michele – Helbing Mario, Galileo and Pisan Aristotelianism. Galileo’s ‘De motu antiquiora’ and the ‘Quaestiones de motu elementorum’ of the Pisan Professors, «Early Science and Medicine», 5 (2000), p. 319-365.
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Galluzzi, 1979 = Galluzzi Paolo, Momento. Studi galileiani, Roma, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, 1979, p. 115-118, 147-48, 153, 197.
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