Federico Laudisa, "Dalla fisica alla filosofia naturale: Niels Bohr e la cultura scientifica del Novecento"
Università di Verona massimiliano.badino@univr.it
Torino, Bollati Boringhieri, 2023, pp. 128. ISBN: 9788833940601
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Ultimamente, la storia intellettuale non gode di grande popolarità nella storiografia della scienza. Le diverse ‘svolte’ che si sono succedute a partire dalla metà degli anni Settanta hanno portato l’attenzione sugli aspetti sociali, politici, materiali, sulle pratiche sperimentali e sulle reti di alleanze sottintendendo, e alle volte affermando esplicitamente, che l’interesse per la storia delle idee era da considerarsi il retaggio di un’ingenua e primitiva infatuazione per un epifenomeno di una più articolata realtà sottostante. Sia chiaro: quelle svolte avevano ragione a opporsi all’illusione che le idee si sviluppino attraverso una dinamica interna seguendo le leggi di una supposta logica della scienza che fa immancabilmente trionfare il Vero. E avevano ragione anche nel sottolineare che la scienza non si fa solo con teorie e concezioni del mondo. Tuttavia, la storia intellettuale ha poi in parte seguito il triste fato del proverbiale bambino, scaricato insieme all’acqua sporca del positivismo ingenuo, divenendo più l’eccezione che la regola della produzione storiografica. Fortunatamente, il libro di Federico Laudisa appartiene a queste eccezioni.
In poco meno di un centinaio di pagine, Laudisa affronta con mirabile dedizione e commendevole precisione la vita e l’opera di un titano della fisica del Novecento, niente meno che il danese Niels Bohr. Già il titolo del libro ci avvisa che il progetto di Laudisa si cura poco delle mode storiografiche, richiamando un’espressione così d’antan come ‘filosofia naturale’, e continua pressappoco nello stesso spirito.
Il primo capitolo definisce il contesto biografico, geografico e sociale in cui Bohr crebbe e lavorò. Questo contesto ci dice molto degli assi che ne definiscono il pensiero durante la maturità. Si pensi, ad esempio, al suo Paese d’origine, la Danimarca, che al tempo rappresentava la periferia della fisica e come tale era soggetta alla pesante influenza culturale di Paesi più avanzati, primariamente la Germania e la Gran Bretagna. A ciò si aggiunga che la tradizione di ricerca danese era incentrata sulla fisica sperimentale avendo in Hans Christian Ørsted e nella sua scoperta delle proprietà magnetiche delle correnti elettriche il principale risultato scientifico della sua storia. Alla luce di questi fatti, la scelta di Bohr di dedicarsi alla fisica teorica denota uno spirito da pioniere che, unito all’indomita pertinacia nell’interessare danarosi sponsor alla causa della scienza, gli consentì nel tempo di costruire un istituto che, ribaltando l’originario e tutt’altro che splendido isolamento, divenne per anni il punto di riferimento di generazioni di giovani teorici e il centro della rivoluzione quantistica.
Un altro punto di interesse sottolineato da Laudisa è il ruolo dell’ambito familiare in cui Bohr si formò intellettualmente. Cresciuto in una famiglia di estrazione borghese, il fisico danese maturò in un ambiente culturalmente stimolante e aperto alle innovazioni. Il pensiero non può che correre immediatamente al confronto con l’altro grande deuteragonista della fisica del Novecento: Albert Einstein. Anche Einstein trascorse gli anni della sua formazione in un Paese scientificamente marginale come la Svizzera, anche Einstein era attratto da idee innovative e dirompenti e anche Einstein metteva queste idee alla prova in un’informale accademia di coetanei altrettanto curiosi e radicali (ebbene sì, anche Bohr aveva la sua Accademia Olimpia, ma si chiamava Ekliptika). Ma Einstein, contrariamente a Bohr, era un emarginato in tutto e per tutto, un giovane scapestrato con il dente avvelenato nei confronti dell’establishment scientifico, come mostrano le sue lettere. Non così Bohr. Federico Laudisa mostra come, in ultima analisi, il suo obiettivo culturale fosse coniugare innovazione e tradizione, vale a dire esplorare le potenzialità concettuali della fisica tradizionale mantenendo però una profonda disposizione critica a modificarla laddove serve anche nel modo più radicale, se necessario. Così, ad esempio, si spiega il modello atomico del 1913, che iconoclasticamente combina un’immagine nata nella vetusta meccanica celeste con un uso talmente sorprendente dell’ipotesi quantistica di Planck da giungere come un vero e proprio shock per tutti i contemporanei.
Questa caratteristica capacità di Bohr di muoversi con disinvolta apertura mentale fra tradizione e innovazione riaffiora anche negli altri capitoli del libro. In particolare, la si può osservare nel secondo capitolo, che costituisce il fulcro concettuale del libro, in cui l’autore ricostruisce il ruolo di Bohr nella cosiddetta interpretazione di Copenaghen. Esiste oramai una cospicua letteratura sul fatto che quella che chiamiamo l’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica fu molto meno omogenea di quanto si credesse in passato e fu principalmente il risultato di intricate negoziazioni e incroci di agende scientifico-politiche dei suoi sostenitori. Ma una volta concesso ciò, e pertanto al sicuro dal rischio del summenzionato positivismo ingenuo, c’è comunque un’interessante storia intellettuale da raccontare.
Ad esempio, la storia del contributo di Bohr è sorprendentemente difficile da individuare con precisione per una serie di ragioni trattate nel libro, di cui due alle quali accennerò in questa sede. La prima è senz’altro la difficoltà intrinseca dei lavori filosofici di Bohr, ostici al limite dell’enigmatico. La seconda è che il concetto centrale della sua interpretazione, il principio di complementarità, ha una natura filosofica (non implica nuove strutture formali come sperava Einstein, né nuove equazioni come richiedeva Dirac) e in ultima analisi è profondamente diverso dalla direzione radicale che le nuove leve della fisica intendevano imprimere alla meccanica quantistica. Ma Bohr era troppo ingombrante per essere semplicemente ignorato, così che quando autori come Heisenberg, per citarne uno, riportano le posizioni di Bohr, spesso introducono slittamenti concettuali tanto sottili quanto importanti. Il lavoro di ricostruzione esegetica che compie Laudisa è, quindi, reso estremamente difficile da un complesso gioco di intrecci che include certamente la fisica e la filosofia, ma anche progetti culturali più ampi e quasi mai espliciti.
In particolare, Laudisa mostra come, nella sua ricerca di principi fondamentali (del sapere «una sola cosa grande» rispetto alle «tante cose piccole»), Bohr operi l’ennesimo tentativo di conciliazione, questa volta fra la tradizione della fisica classica e l’innovazione della meccanica quantistica di Heisenberg e Schrödinger. Nella fisica classica è sempre possibile dare una descrizione di un sistema fisico al tempo stesso di tipo causale (basata cioè sulla conservazione di energia e momento) e di tipo spazio-temporale (in termini della sua traiettoria). Questo perché possiamo sempre escogitare un modo di interagire con il sistema senza disturbarlo in modo significativo. Ma ciò non è possibile con i sistemi quantistici: scegliere una descrizione causale compromette quella spaziotemporale e viceversa. Pertanto, il punto chiave della rivoluzione quantistica non sta in una rottura dei concetti e del linguaggio della fisica classica, che invece continua ad essere utilizzato, ma nella rivelazione di descrizioni complementari del mondo. È questo il nocciolo del contributo di Bohr che si è perso nelle successive discussioni di fisici e filosofi.
Il capitolo finale estende il circolo degli interlocutori ed esplora più a fondo le relazioni intellettuali fra Bohr, Einstein, Heisenberg, Cassirer e Popper. La scelta di Laudisa di discutere la ricezione delle idee di Bohr da parte di due importanti filosofi del Novecento gli consente di rendere giustizia di alcuni fraintendimenti e di alludere a intrecci intellettuali di portata anche più ampia. La speranza è che ciò alluda alla continuazione di questo progetto di riappropriazione di Bohr da parte della riflessione filosofica.